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AIUTI

Uno degli argomenti di maggiore dibattito in questi ultimi tempi è proprio quello degli “aiuti” che una società più ricca e socialmente più avanzata dovrebbe elargire a chi fa parte di società più povere e socialmente arretrate. Perché nel mondo globalizzato non ci sono più confini che occultano carenze e disagi nazionali: tutto si manifesta in tempo reale e portato a conoscenza di tutti cosicché la geopolitica non è più appannaggio delle sole élite governative ma deve anche rendere conto anche al giudizio dei propri cittadini in quanto sono proprio questi che ne hanno decretato l’ascesa o il declino. Ed inizia così uno “story-telling” che spesso si discosta dalla realtà ma mirante a coercizzare il consenso popolare. E vengono così fuori i complessi di colpa delle società più evolute che hanno sfruttato e schiavizzato i paesi poveri ma più ricchi di risorse naturali, con le loro guerre coloniali, e che hanno da aprire le loro tasche se volessero godere dell’assoluzione dell’Altissimo. Stesso discorso per la cosiddetta “Questione meridionale” che non è prerogativa solo del nostro Paese ma che si estende altrove secondo l’equazione “meridione=svantaggio socio-ambientale”. Ma è proprio così o questa è la prova lampante di chi utilizza il “gap” a proprio vantaggio facendo poi pagare le conseguenze a noi sudditi? Credo nella seconda ipotesi altrimenti rispondersi alla domanda del perché certe problematiche perdurano da secoli diventa oltremodo difficile se non impossibile. A fare un minimo di chiarezza sono intervenuti non qualche ideologizzato “eco-green” bensì due economisti della Banca d’Italia Antonio Accetturo e Guido de Blasio col loro libro “Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud (e come evitarli)” che analizza con la tecnica di econometria applicata l’impatto che il denaro pubblico destinato a far crescere il Meridione ha avuto nell’economia di quelle regioni. Ed il resoconto che viene fuori è veramente sconcertante per la scarsissima evidenza empirica relativi agli effetti positivi degli aiuti al Sud. Sta di fatto che questa ridistribuzione territoriale delle risorse economiche che il Nord versa al Sud e costosa per i contribuenti settentrionali e che dura da decenni non ha contribuito ad un solido sviluppo economico del Meridione che ancora oggi denuncia un Pil pro capite molto simile di livello a quello della Romania che solo qualche anno fa versava in condizioni disastrate. Perché? I due economisti rilevano che gli aiuti economici hanno effetto di breve durata in quanto nella maggioranza dei casi sono solo “ridistributivi”. Prova ne sia che “gli incentivi avrebbero indotto soprattutto effetti di anticipazione delle decisioni di investimento in quanto le imprese beneficiarie riducono significativamente il volume degli investimenti, portandoli in media a livelli inferiori a quelli delle imprese che non avevano beneficiato delle agevolazioni”. In altre parole l’aiuto statale non crea alcun consolidamento del sistema produttivo del Sud con i giovani sempre costretti ad emigrare per mancanza di lavoro. E l’economista von Hayek affermava che se il decisore politico non si cura delle informazioni necessarie a organizzare la vita economica il fallimento è inevitabile. Inoltre l’aiuto pubblico “distorce” l’utilizzo delle risorse umane che si dirigono dove ci soni i finanziamenti e non dove c’è mercato. Calzante l’esempio dei fondi elargiti dallo Stato per le energie rinnovabili e segnatamente delle “pale eoliche” che vengono messe su e sono più numerose dove ci sono i clan mafiosi che dove c’è più vento, con un paesino in puglia di soli 166 abitanti e con ben duecento pale eoliche nel circondario. E sempre al Sud Mario Giordano nel suo programma ha fatto vedere come un impianto di pannelli solari semidistrutto dai furti e dalle intemperie sia stato costruito su una discarica di rifiuti illegale. Chapeau! La spesa statale pertanto crea una politicizzazione che rende molto stretto il legame e lo rafforza fra economia e politica ma che in fondo è il punto di maggiore debolezza del Mezzogiorno: quella forte dipendenza a scapito di un’autonomia, attenzionata sì, ma pur sempre creativa e produttiva. E lo studio esamina non solo le politiche di spesa ma anche il sistema di regole burocratiche che inducono gli imprenditori del Nord ad espatriare i loro siti produttivi in Bulgaria o Romania più che in Basilicata o in Calabria. Causa contratti nazionali uniformi, tassazione pensata per le aree più ricche e salari pubblici troppo elevati per il costo della vita locale e non supportabili dalle aziende private con rincorsa al “posto fisso” più generoso e garantista. Basti pensare al fatto che i forestali in Sicilia sono molto più numerosi che in Trentino. E l’economista Nicola Rossi nella sua prefazione al volume chiosa in maniera estremamente lucida il da farsi “Da meridionale tendo a pensare che l’unico futuro possibile per le politiche territoriale, se si ha a cuore il Mezzogiorno, sia la loro eliminazione “tout court” perché l’evidenza empirica ci mostra che da una scelta di questo tipo i meridionali non avrebbero nulla da temere e nulla da perdere. Al contrario!”. Più semplicemente l’aiuto può essere un farmaco solo per chi lo somministra ma alla fine può funzionare come “veleno” per chi lo riceve. E a dare manforte a questa visione, allargando lo sguardo a livello intercontinentale non possiamo non considerare la questione “africana”. Dambisa Moyo nata e cresciuta nello Zambia ha avuto un lodevole percorso in ambito economico che l’ha portata dalla Banca Mondiale ad Harvard e poi a Oxford, ha lavorato per 8 anni alla Goldman Sachs ed oggi è “Global Economist and Strategist”. Nel suo libro “La carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo” descrive in maniera inoppugnabile i motivi che nonostante dagli anni ’50 ad oggi miliardi di dollari sono stati elargiti alle disastrate economie africane la situazione economica del continente africano versa ancora in condizioni di povertà cronica. E secondo l’economista africana la colpa è proprio degli aiuti, un’elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l’Africa ad una perenne adolescenza economica che la rende succube dei Paesi ricchi, e nella peggiore, contribuisce a diffondere la corruzione, ponendo l’Occidente di fronte ai pregiudizi che sono alla base delle sue buone azioni invitandolo a liberarsene. Allo stesso tempo invita l’Africa a liberarsi dai cosiddetti “aiuti” occidentali che pretendono di essere il rimedio mentre costituiscono il virus stesso di una malattia curabile: la povertà. L’intuizione fondamentale della Moyo è che in Africa i prestiti concessionali e le sovvenzioni (non per le emergenze) sortiscono per lo più lo stesso effetto del possesso di una preziosa risorsa naturale, ossia una specie di maledizione perché incoraggiano corruzione e conflitti, scoraggiando al tempo stesso la libera iniziativa. In Africa non solo è facile impossessarsi degli aiuti (il presidente dittatore Mobutu dello Zaire si è impossessato di 5 miliardi di dollari, una somma pari al debito pubblico del suo Paese e dopo aver richiesto una riduzione degli interessi sul debito ha noleggiato un “Concorde” per mandare la figlia a sposarsi in Costa d’Avorio), visto che in genere sono versati direttamente ai governi, ma posso condurre anche a lotte per il potere e fatto ancora più importante possono minacciare il risparmio e gli investimenti interni. Ne è d’esempio l’imprenditore africano di una fabbrica di zanzariere costretto a chiudere la sua fabbrica perché alcune organizzazioni internazionali avevano iniziato a distribuirle gratuitamente. L’economista propone quattro fonti alternative di finanziamento alle economie africane: 1) i governi africani dovrebbero seguire i mercati emergenti asiatici nell’accesso ai mercati obbligazionari internazionali, approfittando del calo dei rendimenti dai mutuatari sovrani; 2) dovrebbero incoraggiare, sull’esempio cinese, la strategia degli investimenti diretti su larga scala nelle infrastrutture; 3) continuare ad insistere per avviare un autentico libero mercato dei prodotti agricoli, chiedendo ai Paesi più ricchi di ridurre i sussidi ai propri agricoltori e permettendo un più facile export dei prodotti africani; 4) incoraggiare l’intermediazione finanziaria favorendo la diffusione di istituti micro finanziari come quelli fioriti in Asia e America latina. Chiudere pertanto i rubinetti degli aiuti può sembrare una misura draconiana ma non dimentichiamo che solo 30 anni fa il reddito pro capite del Malawi, Burundi e Burkina Faso era superiore a quello della Cina. Allora invece di “rappeggiare” il delittuoso buonismo della prebenda per togliersi i peli dallo stomaco e continuare a depredarli delle loro risorse con “signoraggio” dei loro introiti come fa la Francia, delle loro materie prime, delle loro giovani risorse umane lasciando in quei luoghi a forte impatto climatico ambientale solo donne vecchi e malati che se muoiono fanno la felicità dei loro despoti che non hanno più il dovere di curarsene, vediamo di ridiscutere il valore della fratellanza dell’altruismo, della bontà, della condivisione con gli abitanti del vasto e ricco continente d’oltre mare rivelando di quanta malvagità e soprattutto di quanta ipocrisia sia siano ammantate le malverse buone intenzioni della nostra “pietas” occidentale togliendo le nostre mani depredatorie dai loro beni naturali e fornendo quelle possibilità che permettano loro di beneficiarne. Ovviamente lo stesso discorso vale per la “questione meridionale”. Credo che nessuno alzerà un dito per mutare la direzione!!

Arcadio Damiani