Dalla padella alla brace: il rischio di un’Italia svenduta all’America

«La libertà non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nel non fare ciò che non si vuole.» — Jean-Jacques Rousseau

Allontanamento dell’Italia dall’Unione Europea

Negli ultimi giorni, le voci di un possibile allontanamento dell’Italia dall’Unione Europea — incoraggiate, a quanto pare, anche dalle strategie di Washington e dall’asse Meloni-Trump — hanno sollevato un’ondata di inquietudine. I titoli dei giornali parlano di “liberazione” da Bruxelles, di “nuova autonomia nazionale”, di “sovranità riconquistata”. Ma dietro il linguaggio altisonante del patriottismo di facciata si nasconde forse l’ennesimo baratto: l’Italia, stanca dei vincoli europei, rischia di gettarsi tra le braccia di una potenza che non regala nulla e che vede nella Penisola un trampolino geopolitico per controllare il Mediterraneo e l’Europa.

Per noi, ancora una volta, sarebbe passare dalla padella alla brace.

Un malessere antico, una tentazione pericolosa

Il malessere verso l’Europa non nasce oggi. Da anni, la narrazione pubblica ha trasformato Bruxelles da casa comune a gabbia dorata. Le regole di bilancio, i vincoli sui fondi, la burocrazia e la lentezza delle istituzioni europee hanno alimentato l’idea di un gigante distante, più attento ai mercati che alle persone.

In questo clima di disillusione, le sirene del “ritorno alla sovranità” suonano irresistibili per una parte dell’opinione pubblica. Eppure, ogni volta che un Paese europeo ha sognato di potersi isolare, la realtà si è rivelata più dura del previsto. La Brexit lo ha dimostrato con chiarezza: Londra ha recuperato la propria autonomia formale, ma ha perso influenza, stabilità economica e coesione interna.

Oggi, l’Italia rischia di ripetere quell’errore, ma in modo ancor più drammatico. Perché la nostra eventuale uscita dall’Unione non avverrebbe in nome di un isolamento orgoglioso, ma per entrare sotto un’altra egemonia: quella americana. Sarebbe, appunto, un cambio di padrone più che una conquista di libertà.

Gli Stati Uniti e il “sogno mediterraneo”

Donald Trump non ha mai nascosto il suo disprezzo per l’Unione Europea, che considera un concorrente economico e politico. L’Europa, nel suo schema, è debole, divisa, burocratica, e va tenuta sotto controllo. L’Italia, con la sua posizione strategica nel Mediterraneo, la sua rete di basi NATO, la sua influenza culturale e la sua vulnerabilità economica, rappresenta un obiettivo perfetto.

Un’Italia fuori dall’UE sarebbe un alleato docile, un presidio avanzato nel cuore del continente. Non è un caso che, negli ultimi mesi, la retorica americana sull’“amicizia storica” e sulla “comune civiltà occidentale” sia tornata con forza. Ma dietro quelle parole si cela un progetto geopolitico preciso: sfruttare la nostra instabilità per rafforzare l’egemonia statunitense in Europa.

Un Paese come l’Italia, già dipendente dall’importazione di energia, tecnologia e armamenti, rischierebbe di diventare un semplice partner subordinato. In cambio di qualche illusione di libertà, perderemmo il potere di decidere davvero del nostro futuro. E non solo in politica estera: anche in economia, cultura e difesa, le scelte sarebbero dettate da oltreoceano.

La memoria corta di un popolo stanco

Molti dimenticano che la nostra adesione all’Europa non fu un atto di sottomissione, ma una scelta di rinascita. Dopo due guerre mondiali, l’Unione rappresentò la promessa di pace, solidarietà e progresso condiviso.
Certo, l’Europa di oggi è lontana dall’ideale dei padri fondatori: troppo tecnica, troppo rigida, troppo poco empatica verso i popoli mediterranei. Ma smettere di crederci non significa distruggerla: significa impegnarsi per cambiarla.

Chi oggi sogna di “uscire da Bruxelles” dimentica che nessun Paese medio può sopravvivere da solo nell’economia globale. E meno che mai può farlo legandosi mani e piedi a una superpotenza che ha interessi solo propri. Passare dalla padella europea alla brace americana significherebbe sostituire una relazione imperfetta ma paritaria con una dipendenza totale. Da Bruxelles riceviamo fondi e regole; da Washington riceveremmo ordini e contratti.

La retorica dell’autonomia, agitata come bandiera elettorale, rischia di diventare un’arma di distrazione di massa. Ci fa credere di liberarci da un vincolo, mentre ci lega a uno ancora più stringente. E l’Italia, che ha già vissuto secoli di dominazioni, dovrebbe aver imparato che la libertà vera non è mai concessa, ma conquistata.

Allontanamento dell’Italia dall’Unione Europea: Sovranità o sudditanza?

È facile invocare la “sovranità nazionale”. È più difficile capire cosa significhi davvero, oggi, essere sovrani.
Essere sovrani non vuol dire alzare muri, ma sedere ai tavoli che contano. Non vuol dire rifiutare i patti, ma saperli negoziare con dignità.
Se l’Italia uscisse dall’Unione Europea per entrare nell’orbita americana, non rafforzerebbe la propria sovranità: la cederebbe del tutto. Perché chi dipende da un solo alleato forte non è libero, è vassallo.

Le basi NATO sul nostro territorio sono già un segno tangibile di questa dipendenza: servono più agli interessi strategici degli Stati Uniti che alla nostra sicurezza.
Un’Italia ancora più allineata a Washington, senza il contrappeso europeo, rinuncerebbe alla propria capacità di mediazione, alla vocazione storica di ponte tra Est e Ovest, Nord e Sud.

L’Italia è nata come crocevia di culture, non come provincia di un impero.
E la sua storia, da Roma antica al Rinascimento, fino al dopoguerra, ci insegna che la forza del Paese è sempre stata la sua centralità dialogante, non la subordinazione.

Il mito del “nuovo mondo” e la realtà del vecchio continente

L’America affascina da sempre l’immaginario italiano: la velocità, l’efficienza, la promessa del successo individuale. Ma quella stessa America è anche il simbolo del capitalismo più aggressivo, dell’ineguaglianza e della polarizzazione politica.
In un Paese fragile come il nostro, adottare un modello “americano” significherebbe abbandonare la protezione sociale europea — la sanità pubblica, l’istruzione accessibile, i diritti dei lavoratori — in cambio di un mercato spietato dove sopravvive solo chi ha più forza economica.

Ciò che oggi molti chiamano “libertà” rischierebbe di tradursi in precarietà diffusa e perdita di diritti. È l’illusione del “fare da soli” in un mondo dove nessuno può farcela davvero da solo. E la pandemia, come la guerra in Ucraina, hanno mostrato che la vera forza è nella cooperazione, non nella competizione cieca.

Un bivio storico e l’intuizione di Craxi

Oggi l’Italia è a un bivio. Da una parte l’Europa: lenta, complessa, ma nostra. Dall’altra, l’America di Trump: energica, seducente, ma interessata solo a sé stessa. Non si tratta di scegliere tra due blocchi economici, ma di decidere che tipo di nazione vogliamo essere.

In questo contesto, tornano alla mente le parole e le scelte di Bettino Craxi, che già negli anni Ottanta aveva intuito una verità che molti ignorano ancora oggi: l’Italia non doveva limitarsi a essere la coda dell’Europa né il pontefice tra Est e Ovest, ma piuttosto allenarsi e allearsi con il Sud del mondo che le era più vicino, con i Paesi del Nord Africa e del Golfo Persico.

Craxi aveva compreso che il nostro futuro geopolitico non stava nelle nebbie di Bruxelles né nei grattacieli di New York, ma sulle coste del Mediterraneo, dove si gioca la grande partita dell’energia, delle migrazioni, della sicurezza e della cultura.
Aveva capito che solo un’Italia capace di dialogare con Algeria, Egitto, Tunisia, Libia, Arabia Saudita, Qatar e Emirati avrebbe potuto costruire una posizione autonoma, rispettata e strategica.
Non un Sud da temere, ma un Sud con cui costruire il domani.

Quella visione mediterranea, allora derisa e oggi rimpianta, era fondata su un’idea semplice e lungimirante: l’Italia deve essere ponte, non pedina.
Non satellite di una potenza, ma nodo di relazioni multiple.
Craxi aveva intuito che la vera sovranità italiana si gioca nel mare di mezzo, dove si incrociano le rotte dell’energia e della cultura, della finanza e della fede.

Se avessimo coltivato quella vocazione mediterranea, oggi avremmo un ruolo centrale nel nuovo equilibrio globale, che vede l’Africa crescere e il Medio Oriente tornare protagonista. Invece, rischiamo di ridurci a terreno di conquista economica, energetica e culturale, oscillando tra Bruxelles e Washington come un pendolo senza anima.

Allontanamento dell’Italia dall’Unione Europea: la libertà si costruisce, non si compra

Non c’è padella o brace che possa salvarci se non impariamo a cucinare da soli, con intelligenza e misura.
L’Italia non ha bisogno di fuggire da Bruxelles per sentirsi libera, né di inginocchiarsi davanti a Washington per sentirsi forte.
Ha bisogno di credere in sé stessa, di riformare le proprie istituzioni, di trovare una voce europea e mediterranea al tempo stesso.

Come avrebbe detto Craxi, la sovranità non è isolamento, ma equilibrio tra forze.
Il futuro non è nella dipendenza, ma nella partecipazione.
Se davvero uscissimo dall’Europa per legarci mani e piedi all’America, sarebbe un salto nel buio, un errore storico: un classico caso di “dalla padella alla brace”.

E il popolo italiano, che ha sempre pagato a caro prezzo le illusioni dei potenti, lo sa bene: chi scambia la libertà con la protezione, finisce per perdere entrambe.

di Carlo Di Stanislao

La Redazione de La Dolce Vita
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