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Autofagia … le cellule spazzino

Nell’ottobre del 1917 nasce in Inghilterra, in un piccolo paese vicino Londra, figlio di emigrati belgi, Christian de Duve, divenuto biochimico concentra i suoi studi sull’organizzazione della cellula, la sua ricerca porta alla scoperta dei “lisosomi”, chiamate inizialmente “cellule spazzino” perchè in grado di “distruggere” ed eliminare (per fagocitosi) le cellule non più in grado di svolgere il proprio lavoro all’interno dell’organismo cellulare. Nel 1974 viene insignito del premio Nobel per la medicina grazie alle sue ricerche «sull’organizzazione strutturale e funzionale della cellula» e la conclusione che le cellule del nostro organismo si scompongono e si riciclano. Passano quasi 40 anni e un medico giapponese riparte dagli studi e le ricerche del dottore belga, nel frattempo insignito dal Re Baldovino del titolo di Visconte.

Con tecnologie più avanzate e una grande caparbietà che lo porta ad approfondire le sue conoscenze prima in Giappone, poi negli Stati Uniti, dove collabora con il premio Nobel per la Medicina G.M. Edelman (massimo esperto dei sistemi immunitari) e poi di nuovo in Giappone, realizza uno schema sul meccanismo di azione dei lisosomi, non più semplici “spazzini cellulari” ma veri “dei ex machina” all’interno della cellula con la capacità di selezionare le cellule e svolgere su di loro, a secondo dei casi, un’azione riparativa, trasformativa o “decidere” di eliminarla. Per la sua ricerca, che cambia notevolmente tutta la conoscenza che si aveva sull’organizzazione cellulare, nel 2016 il dr. Yoshinori Ohsumi vince (battendo la concorrenza di 273 candidati) il Nobel per la medicina. Questo il meccanismo: i tessuti degli organi rigenerano completamente le proprie cellule, anche se con tempi diversi, le cellule morte vengono inglobate dai lisosomi (contengono enzimi digestivi) che trasformano le cellule danneggiate, batteri, parassiti e virus in cellule nuove ed energia: questo complesso sistema si chiama autofagia. I lisosomi trasformano le proteine in aminoacidi che serviranno, come fossero mattoni, alla costruzione di nuove cellule. L’organismo riesce, grazie a questo sistema, a produrre una quantità di proteine (distruggendo le cellule morte e i batteri) nell’ordine di 200/300 grammi al giorno ed in grado di attivare questa rigenerazione cellulare; una quantità notevole se si pensa che giornalmente (con la dieta) assumiamo “solo” 70/100 gr di proteine die.

Questo sistema di riciclo (autofagia) deve funzionare perfettamente, un suo errato funzionamento porterebbe all’accumulo di cellule danneggiate con conseguente rischio di malattie. Il digiuno e la fame attivano l’autofagia: le cellule per rigenerarsi e produrre energia, iniziano a nutrirsi delle cellulari degradate (inclusi a batteri patogeni) mantenendo un ciclo continuo come in una raccolta differenziata con riutilizzo degli “scarti”. In conclusione digiunando aumentiamo l’autofagia con un aumento nell’organismo il monossido di azoto, che stimola il ringiovanimento e la riduzione all’esposizione di infezioni. Secondo lo scienziato giapponese il digiuno “volontario” può essere totale (non assumere cibo per 24 ore, escluso naturalmente i liquidi) oppure parziale dove nell’intervallo di otto ore si può mangiare (senza esagerare) e per le restanti 16 ore ingerire solo liquidi: sistema del 16/8 (… e sembrerebbe la scelta più facile e “accessibile”); in questo modo con la riduzione dell’apporto calorico (non più di 500/600 cal al giorno) si “innesca” l’autofagia.

Nei test effettuati, presso gli istituti di ricerca, con il metodo del digiuno, si è potuto constatare un notevole miglioramento delle condizioni generali, anche solo con una riduzione del solo 20% dell’apporto calorico medio (a giorni alterni); conclusione: peso ponderale, pressione, colesterolo e glicemia nella norma in questi soggetti. Il consiglio è mai partire con un digiuno “drastico”, difficilmente si riesce ad essere poi costanti nel tempo, meglio un inizio “leggero” per arrivare al metodo 18/8 e poi se si riesce anche il “total fasting” per 24 h. Una riduzione dell’apporto proteico con la dieta è la prima causa scatenante l’autofagia che genererà, grazie alle proteine di ricircolo il fabbisogno proteico organico.