Gli italiani sono ormai diventati dei soggetti particolarmente avvezzi all’uso di imprecazioni e parolacce nel proprio linguaggio di tutti i giorni. Le volgarità e le imprecazioni da parte loro sono triplicate negli ultimi 30 anni. Almeno questo è il risultato di uno studio condotto e riportato dall’agenzia ADN kronos (agenzia di stampa multicanale di informazione e comunicazione italiana con sede a Roma). In questo studio si leggono numeri in netto aumento, per quanto riguarda le bestemmie e le volgarità pronunciate dai nostri connazionali. Sono dati che parlano infatti di un aumento del 300% rispetto all’ultimo “sondaggio” effettuato 30 anni fa circa per quanto riguarda le parolacce.
Quanto alle bestemmie, invece, il dato sarebbe addirittura quadruplicato. La prima indagine risale al 1992 e a realizzarla fu Vito Tartamella scrittore e docente universitario, laureato in Filosofia all’università Cattolica di Milano. Ha scritto nel 1991 il libro- inchiesta intitolato Parolacce: è il primo saggio italiano di psicolinguistica sul turpiloquio. Furono registrate e trascritte 57 ore di conversazioni, in varie città d’Italia (da nord a sud) e ambienti diversi e poi conteggiate parola per parola. Da questa attenta analisi si creò il BADIP, la banca dati dell’italiano parlato, che conteneva tra le altre cose anche una quantità di parolacce e bestemmie pronunciate nel corso di un normale discorso. Dopo 27 anni, si è svolto un nuovo sondaggio, raccontato dallo stesso Tartamella: “Questa nuova indagine linguistica, elaborata dalle università di Bologna e di Torino ci permette di capire quali sono le espressioni volgari più usate oggi, ma anche di vedere come sono cambiate le nostre abitudini linguistiche negli ultimi 5 lustri“.
Nel 1992 le parolacce censite durante l’indagine erano 45, a distanza di ventisette anni questo numero è salito a 75. Dunque gli italiani hanno a disposizione un campionario più ampio di parolacce, che tendono a pronunciare più di frequente. Secondo il sondaggio le persone che dicono le parolacce sono le più affidabili ed oneste; i dati sono conformi a quelli dei ricercatori dell’università di Hong Kong che hanno rivelato che questo linguaggio un pò spinto rivela che le persone sono più serie e trasparenti. La loro conclusione è che anche se il linguaggio fà la differenza avere un linguaggio spinto non significa essere volgari … basta non superare i limiti. Secondo David Stilwell dell’università di Cambridge, dove si occupa di psicometria e analisi del comportamento, “filtrare” la lingua quando si parla filtra anche ciò che uno dice … a discapito della sincerità. Fino al secolo scorso anche la parola “amante” rientrava tra le parole proibite, osteggiate e malviste, oggi il vocabolario comune ha sdoganato molte delle cosiddette “parolacce”, soprattutto quelle espressioni triviali che afferiscono alle funzioni corporali, divenute ormai poco più che un intercalare. Eppure esistono termini che ancora sono considerati tabù, principalmente per convenzione culturale.
In Italia, per esempio, sono quelle parole che rimandano alla sfera sessuale. In situazioni di stress emotivo o dolore fisico, frustrazione e tensione la funzione di sfogo è la principale caratteristica del ricorso alle parolacce, un effetto liberatorio pari al dare un pugno ad una porta o scagliare un oggetto. Una ricerca condotta dal Keele University’s School of Psychology in Inghilterra, ha dimostrato, sottoponendo ad un esperimento 64 volontari ai quali è stato chiesto di immergere le mani in acqua ghiacciata, come le persone che usano il turpiloquio riescano a tollerare il dolore il 50% più a lungo rispetto a quelli che non le dicono in seguito ad un forte trauma. La parolaccia, quindi, ha una valenza emotiva. Sigmund Freud sosteneva: «La civiltà ha avuto inizio quando la prima persona in preda alla rabbia ha lanciato un’ingiuria anziché una pietra». Invece di scagliarsi pietre o frecce, a un certo punto della preistoria gli uomini hanno cominciato ad aggredirsi a parolacce, a insultarsi e a gridarsi le più indecenti volgarità. Le parolacce, infatti, hanno ritualizzato l’aggressività e dato agli uomini la possibilità di “distruggersi” senza spargimenti di sangue. Mentre il combattimento fisico è brutale in tutte le sue forme le parolacce, invece, hanno reso il mondo meno sanguinario … secondo l’antropologo inglese Ashley Montagu.
Solo come curiosità … la prima “parolaccia” in italiano è scritta a lettere cubitali nella Basilica di San Clemente al Laterano, a Roma. La chiesa, costruita fra il 1084 e il 1100, ospita nella parte sotterranea, che è la più antica, un ciclo di affreschi dedicati alla vita di papa Clemente, quarto pontefice della storia. Uno di questi affreschi, databile intorno alla fine del secolo XI, narra la leggenda del prefetto romano Sisinnio e di papa Clemente sotto forma di un curioso dialogo a fumetti, scritto in volgare italiano; dalla bocca di Sisinnio esce la seguente esclamazione: Fili de le pute, traite (Figli di puttana, tirate!).
.