Benedetti intellettuali! Erano considerati studiosi soprattutto umanisti ma non solo se pensiamo a quanti scienziati hanno propalato le loro conoscenze tecnologiche in ambiti più squisitamente filosofici omnicomprensivi per una interpretazione della vita umana la più ampia e completa possibile, da Cartesio a Leonardo Da Vinci, a Bertrand Russel, a Jaques Monod solo per citarne alcuni. Ovviamente non possedevano la “Verità” ma una maniera di mediarla ed interpretarla che induceva comunque alla riflessione e a completare il novero dei significati contrapposti per arrivare alla stesura del “dubbio fino a prova contraria”. Contesto finale di un approccio molto liberale all’idea aborrendo fin dal principio l’ideologia, il peggiore strumento coercitivo che può partorire la mente umana a scapito del suo simile. Quindi l’intellettuale è stato sempre un’intelligenza critica che affermava una verità quasi sempre contro il potere, come Zola, Orwell, Arendt, Sartre, Pasolini. Si pensi solo all’Accademia dei Lincei, fondata nel 1603 da Federico Ciesi che è la più antica accademia scientifica del mondo, portata a fama dal genio di uno dei primi soci, Galileo Galilei. Nel 1873 fu rifondata da Quintino Sella come Accademia, Nazionale Italiana dando un contributo fondamentale alla costruzione dello Stato italiano sia con la promozione della nostra cultura e lingua sia per collocarci in Europa al fianco di Stati già forti per scienza, tecnologia ed economia connesse alla rivoluzione industriale. Nel giugno 1939 (l’anno dopo la promulgazione delle leggi razziali) i Lincei furono chiusi dal fascismo perché portatori di una cultura libera e di una scienza cosmopolita. Successivamente riaperta da Benedetto Croce e Luigi Einaudi oggi annovera anche eminenti soci stranieri ed l’Accademia è considerata “Ente pubblico di notevole rilievo”. Per dirla con il professore e scrittore Enzo Traverso oggi il termine “intellettuale” ha perso la sua aura e designa soprattutto personaggi che invadono la scena televisivo-mediatica e questo per diverse ragioni, la fine delle utopie del Novecento, la svolta conservatrice degli anni ’80, la mercificazione della cultura, le disillusioni di una generazione. In un mondo “post-ideologico” in cui la politica si nutre sempre meno di idee, l’intellettuale è stato sostituito dall’“esperto” al servizio dei potenti e dallo specialista della comunicazione, lo “spin doctor”. Figura questa che riflette perfettamente l’estrema precarietà intellettiva dei destinatari dei suoi programmi. Infatti sono chiamati in soccorso delle campagne elettorali dei politici per pianificare loro i luoghi, le uscite, i discorsi così da ottenere il massimo consenso popolare. Prodotti perfettamente costruiti in laboratorio che all’opera poi rivelano l’enorme carenza strutturale in ambito professionale e di competenza per ricoprire il ruolo cui si destinano. Veramente “unfit”. Come se ci fosse continuamente bisogno di un cervello che pensi col mio. E’ questo il risultato finale della profonda analfabetizzazione che stiamo vivendo frutto di una scuola che non insegna, di una università che non costruisce menti libere ma solo opifici atti a sistemare stipendi e cattedre, molto diversamente dal passato ove il prestigio della scuola non faceva sconti. L’università può produrre in questo senso uomini liberi e responsabili oppure servi fedeli, “yes men”. E poi ci lamentiamo perché non si mantengono le promesse elettorali. E come potrebbero esserlo se i messaggi sono solo fini a se stessi e al conseguimento della cadrega. Viviamo nel mondo della mistificazione dei dati perché gli stessi meccanismi che dovrebbero controllali sono anch’ essi al servizio del potere o di una lobby. Si parla infatti della imperante necessità del “fact checking” cioè del controllo, la “post-verità”, dei fatti a mezzo di centinaia di analisti che si autonominano a giudici delle affermazioni di politici, giornalisti, industriali, scrittori e così via. E tutto in perfetto stile Internet in cui uno vale uno ed allora spesso questi giudici non hanno neanche loro le competenze adatte ma solo spinti alla demonizzazione dell’autore e se le hanno molto spesso sono inaffidabili perché dall’alto del loro scranno si impegnano nella difesa di una loro giusta causa. E tutta l’informazione che viaggia oramai alla velocità della luce si riempie di “fake news”, notizie false, che spesso impediscono una interpretazione il più possibile attinente ai fatti. E poi ci lamentiamo perché l’editoria langue e non si acquistano più i quotidiani. E perché dovremmo? Per sentirci propinare in maniera oltremodo sfacciata ciò che costruiscono per vendere il loro prodotto. Una volta i quotidiani avevano l’”elzeviro” cioè l’articolo di un buon politico o intellettuale che induceva la riflessione e spesso solo la domenica quando si aveva più tempo per leggere e informarsi. Allora conviene osservare il pulpito dal quel viene la predica ed aborrire chiunque sia di parte, come avvenuto in questi giorni ove non si fa altro che parlare di razzismo e fascismo di ritorno per episodi che francamente avrebbero meritato più attenzione come l’imbecille che si diverte tirando uova e che se figlio della sinistra è goliardico, se figlio della destra è razzista. Allora non andrebbero letti quei quotidiani che si abbandonano alle discriminazioni e all’avventatezza nel promulgare la notizia che si riveli falsa appena dopo né tanto meno quelli che incitano allo scontro perché si dissente dal “main stream”. Ma vi fidereste più del medico che sbaglia la vostra diagnosi? E’ sufficiente solo un suo errore perché possa essere condannato. E allora perché fidarvi di giornalisti che si rivestono da intellettuali, entrano nel girone mediatico in vigore e esprimono giudizi così semplicistici che nemmeno al nostro liceo era possibile se non seguiti da doverosi commenti? Cominciamo dal basso ad educare il processo mediatico-informativo, cambiamo canale quando assistiamo a quei talk show ove esistono monologhi e non confronti, e cerchiamo di valutare la preparazione, la competenza e la cultura di chi ci troviamo di fronte. Vi sono giornalisti, scrittori, professori che in quanto a cultura e competenza, come si evince dal loro ricco eloquio espressivo lessicale meritano quanto meno di essere ascoltati o letti perché esempi splendidi di dedizione e passione per il loro lavoro e segno del loro “sedere quadro” sui libri. Potremo non essere d’accordo con le loro vedute ma vanno comunque considerati. Paola Mastrocola della “fondazioneHume” si è espressa in un suo illuminante articolo apparso sul “Il Sole 24 Ore” in merito alla questione “migranti” e sul “muro” costruito artatamente fra buoni e cattivi. E si riferisce al suo mondo che frequenta e che fatica a definire: ceti abbienti? Gli istruiti? I benestanti? Professionisti? Ma anche persone meno istruite e punte estreme di intellettuali, scrittori, filosofi, studiosi e giornalisti. E per questi personaggi avverte un certo fastidio per la loro forte presupponenza nel detenere il “verbo”, l’appartenenza aprioristica, il disprezzo per l’altro che dissente, il parlare per formule che se usate fai parte del reggimento se non le usi sei fuori. E’ questa minoranza “eletta” che detta una sola rappresentazione delle cose creando per forza di cose il “nemico”. Così da una parte ci sono i colti buoni dell’accoglienza-tolleranza-solidarietà, dall’altra i cattivi, rozzi buzzurri ignoranti e bruti della morte, desolazione, disuguaglianza, egoismo, disprezzo della vita umana. E la giornalista dovrebbe stare fra i primi per quell’autocompiacimento che azzera ogni possibile virtù. Ma sceglie quella via che la curiosità, la sua etica professionale le indicano e cioè la possibilità di analizzare il fenomeno alla ricerca di quella verità mediata e ricca di contrapposti. E denuncia l’esistenza di persone colte, perbene che hanno idee un po’ diverse ma non hanno il coraggio di esprimere per non essere sottoposti al tribunale inquisitorio del pensiero dominante ed essere collocati tout court fra i cattivi. Ma è proprio questa loro reticenza a manifestarsi che aiuta il “pensiero unico” e se si esprimessero con il desiderio di non uccidere nessuno, di salvare vite, di non utilizzare ruspe o rastrellamenti ma solo di trattare l’argomento con dovizie risolutive e non come plafond propagandistici forse questo muro cadrebbe. Basta firmare appelli che non vanno da nessuna parte ma solo per autopromozione! E poi la giornalista si domanda: perché dovrebbero parlare solo gli scrittorie o filosofi e non psicologi, medici, architetti o contadini, panettieri, idraulici, operai? E si schiera con loro perché interrogandoli si è resa conto che la loro “cattiveria” non è altro che una dose massiccia di buon senso e disperazione che li rende molto simili alle vittime degli sbarchi, per criminalità, insicurezza, ridotto potere d’acquisto. Ed allora cosa rappresenta l’intellettuale oggi? Un continuo schierarsi per riempire la differenza fra la vita “guardata” e la vita “vissuta”. Potremmo reinventarci qualche utopia visto che quella rivoluzionaria del comunismo è finita da un bel pezzo col disfacimento dei blocchi post bellici. E se rivoluzione può rinascere sarà solo quella sulla ridistribuzione della ricchezza togliendola dalle grinfie di quei poteri “globalizzanti” che si danno tanto da fare per abbassare il nostro “welfare” ed innalzare il loro. Ma l’intellettuale non ha più quella forza di quell’intelligenza critica contro il potere perché perfettamente “allineato” ad esso nel marasma di quell’incultura oggi predominante. Così si travestono da “influencer” soggetti che non meriterebbero neanche la posizione di “corner’ speaker” come attori, calciatori, comici, dive di spettacolo che non fanno altro che esprimersi in maniera “coatta e violenta” su argomenti che non conoscono solo perché così va l’onda mediatica. Sarebbe molto opportuno che si ricominciasse a studiare per avere il sacrosanto diritto di parola!
INTELLETTUALI OGGI…
