“Viaggio tra sacro e profano a Fara filiorum Petri Paese delle farchie e del miracolo di Sant’Antonio Abate”
“E’ quasi mezzanotte a Sant’Eufemia. Il fumo dei tronchi accesi si mescola con i vapori della cucina e con l’umidità della notte creando un’atmosfera magica. Il vin brulé è quasi pronto quando si sente un botto provenire da Pretoro “è Pagnotto, la farchia è pronta”, la fisarmonica riprende a suonare e arrivano anche le cotiche e fagioli…
Questa non è solo un’opera che testimonia un’antica tradizione popolare che commemora la festa di un santo ed il miracolo del fuoco. E’ un viaggio emozionale nelle case e nelle vite dei Faresi che sentono questo evento con la stessa atavica e viscerale partecipazione con cui si segue la nascita di una creatura. Ogni contrada genera la sua parte. Ed ogni anno di nuovo. Le foto raccontano, più di un milione di parole, la fatica, la soddisfazione, lo spirito di corpo, la coesione, la felicità, la bellezza della vita e della condivisione delle esperienze. L’opera diventa una indispensabile guida per coloro che vogliono leggere con una giusta chiave e profondità questa festa unica nel suo genere per contenuti e tradizione popolare.”
Cosa sono le “Farchie”?
Dopo Natale i contradaioli si organizzano per raccogliere le canne che sono state tagliate ancora verdi nel mese di febbraio dell’anno precedente, selezionate e raccolte in fasci composti da 15-20 pezzi. Temendo furti da parte di rappresentanti delle altre contrade, le canne raccolte vengono conservate in ambienti chiusi, anche per preservarle dall’umidità. In passato alcune contrade (quelle “urbane” che non avevano campagne a disposizione) si procacciavano le canne necessarie a costruire la farchia rubandole a malcapitati contadini che spesso, sorpresi i ladri con le mani nel sacco, reagivano sparandogli contro e denunciandoli ai carabinieri. Oggi la tradizione del furto delle canne continua solo grazie ai contradaioli più giovani che, qualche giorno prima della festa di notte si avventurano nelle campagne dei paesi vicini alla ricerca più di emozioni forti che di materiale utile alla preparazione della farchia. Nei giorni a cavallo dell’8 dicembre si potano gli alberi di salice rosso di quei rami grandi a sufficienza ma non vecchi (inutilizzabili perché privi della quantità d’acqua giusta: questi infatti quando si scaldano per essere legati in coppie si spaccano) che andranno a formare il legame. Di solito il 12 gennaio inizia la preparazione delle farchie in ogni contrada. La prima fase consiste nel preparare l’anima della farchia. Questa può essere costituita da un palo di legno cui si legano canne oppure da sole canne, ottenendo una piccola farchia che funge da spina dorsale della farchia vera e propria. Successivamente, si effettua il “rinfascio”, cioè con le canne più lunghe e dritte si ingrossa il diametro sino a raggiungere la dimensione finale. I due-tre uomini più esperti si occupano della legatura del legame: momento questo che richiede forza e grande maestria perché dal modo in cui è legato il legame dipende la stabilità e la bellezza della farchia. La perfezione tecnica della farchia risiede nell’unione di più caratteristiche: la verticalità, il giusto allinearnento dei nodi, l’assenza di rigonfiamenti, la grandezza, la corretta sistemazione della singola canna in modo che appaia all’occhio dell’osservatore come unica dal capo (il “piticone”) alla coda (la “cima” o “fiocco”) della farchia. Quest’ultima caratteristica si ottiene apportando con canne più grandi giunture successive alla prima canna che parte dal “piticone”. Le donne della contrada, durante la fase di preparazione, assistono gli uomini e cucinano per loro il pasto di “Sant’Andone”, il tutto innaffiato dal buon vino locale. Queste fiaccole negli anni crebbero sempre più, arrivando all’attuale dimensione negli anni 1890 (a questi anni infatti risalgono le prime notizie scritte). Da allora il diametro della farchia è di quasi un metro e la lunghezza è generalmente di circa 8 metri.