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MANGIARE: ATTO POLITICO

FOTO-RUBRICA-SITO-DAMIANI2-400x242-1 2Il grande scrittore americano Wendel Berry afferma in un suo libro che “mangiare è un atto agricolo” in riferimento ai cibi che provengono dalla terra il più possibile vicino a noi e meno contaminata da quella coltivazione “intensiva” che produce grandi quantità, da non demonizzare, ma con qualche difetto di salubrità. Ed il celeberrimo tri stellato chef francese Alain Ducasse scrive che “mangiare è un atto civico” e come dargli torto se ricordiamo come storicamente tutta la civiltà umana si sia sviluppata attorno all’alimentazione in primis, dai cacciatori ai raccoglitori, migliorando continuamente le proprie aspettative di vita. Ma noi invasi da un collettivismo pseudodemocratico diremo oggi che il “mangiare è un atto politico”. Perché l’alimentazione è un grande tema politico che interesserà molto in futuro perché come scrive Francesco Borgonovo chi controlla la fame, in fondo, controlla il mondo. E nel suo libro “Mangiare è un atto civico” (Ed. Einaudi) Ducasse tocca alcuni punti fondamentali come i problemi di salute che sotto il nome di “malattie del benessere” (obesità, ipercolesterolemia, diabete, alcuni tumori) sono in gran parte dovuti all’alimentazione industriale. Cucina che lo chef definisce “a bassa densità nutrizionale e ad alta densità di deliziosi aromi di sintesi che crea una dipendenza pericolosa, una dipendenza da gusti uniformati e standardizzati, che consente una distribuzione di massa molto redditizia per l’industria alimentare”. E se è vero che l’invasione mediatica di programmi culinari ci ha sinceramente stufato è anche vero che proprio in virtù di questa diffusione sta nascendo l’opportunità e la convenienza di capire bene cosa ci sia oggi nel piatto. Ed allora stiamo alla ricerca dei prodotti più genuini, più vicini alla geografia del luogo, più attenti all’origine della materia prima col propagandare prodotti freschi, di stagione, a Km zero. Allora praticamente a tavola, almeno noi, stiamo rifiutando il “global food” e siamo per un mantenimento dei confini, in altri termini e senza secondi fini, siamo l’effige più autentica del “sovranismo” anche se solo alimentare. Ed è innegabile che la varietà delle nostre tradizioni culinarie con ben venti diverse realtà regionali, della nostra storia, oltre alla mutevolezza del panorama geografico formino un amalgama unico al mondo e dovremmo dire che “mangiare italiano è meglio”. In Inghilterra molti ristoranti italiani cercano “mamme” italiche che possano supervisionare la preparazione e la cottura dei cibi della nostra tradizione come pasta fatta in casa e prodotti freschi di stagione secondo un “Mamma’s Menu” molto gradito da quelle parti. E molte nostre “mamme e nonne” hanno risposto con entusiasmo all’iniziativa, pronte ad essere ambasciatrici del nostro “Know-how”. Perché non si accontentano più dell’insegna italica del locale all’estero ma vogliono anche l’impronta empatica ed affettiva della presenza del timbro originario. Non c’è che dire! Fa il paio tutte le sedi nel mondo della nostra beneamata “Accademia della Cucina Italiana” che non sono solo confraternite nostalgiche del cibo italico bensì associazioni culturali che diffondono in altri paesi i nostri ben accetti usi e costumi alimentari. Esiste tuttavia oltre la tornata in auge della religione del cibo anche quella del nostro corpo sempre in forma come se il mangiare bene fosse sinonimo di “pancetta” e obesità e relativa sindrome metabolica. Ed allora, nel segno di un complesso di colpa, siamo pronti a privarci della pasta e di tutti gli altri carboidrati demonizzati ad arte nella cultura del “più basso indice glicemico” spesso intercorrendo in spiacevoli carenze nutrizionali. E ci ingozziamo di cibi che non agiscono sulla produzione insulinica ma che, comunque assorbiti, circolano nel sangue, non sempre senza conseguenze. E diventiamo “malati in forma”! E all’industria alimentare non sembra vero il poter servire cibi senza glutine, senza olio di palma, senza zuccheri, a basso contenuto proteico, ricco di fibre, privo di grassi specie di origine animale. Ma che cibo è? Un pericoloso sostituto industriale che annienta il “taste”, il gusto, togliendo tutta la poesia che ruota attorno al cibo e alla sua preparazione come togliere l’eros dalla copula! E purtroppo siamo in piena “materializzazione” sia del cibo che del sesso con ovvie ripercussioni sul nostro stile di vita “commissionato” più che “vissuto”. E gli attacchi verso la nostra nutrizione a partire dalla nutriceutica degli integratori fino al completo sovvertimento della nostra tavola con il “fast food” della carne fatta in laboratorio con cellule staminali, o gli insetti molto proteici al posto della carne, non hanno limiti secondo un’etica molto personale ed un’emergenza ambientale. Avremo così una bresaola al seitan o lo spezzatino di tofu. Che goduria papillare! Credo che bisogna ritornare in trincea per le nostre eccellenze e facciamo della bistecca fiorentina patrimonio dell’Unesco e dell’umanità come già avvenuto per la pizza made in Italy. Difendiamo i nostri contadini e non umiliamoli più con lo svilimento economico dei loro prodotti ad uso di un commercio senza limiti e confini che induce all’acquisto di arance e olio nordafricani e alla distruzione dei nostri frutti, del nostro buon riso per quello malsano cresciuto nei miasmi acquatici d’Oriente ricchi di pesticidi. Siamo invasi dai “falsi hamburger” staminali e tutte le multinazionali del food stanno investendo in quello che potremo chiamare il “farmacibo”, la “dieta chimica” con registi come Bill Gates e il volto di Leonardo Di Caprio, che patrocinano e finanziano la catena “Beyond Burger” che ultimamente è sbarcata nel capoluogo felsineo noto per l’accoglienza alle “novità globaliste”, ma che ha in programma di aprire altri 300 punti vendita. E scusate se avverto qualche brivido. I burger sembrano di carne ma sono tutti vegetali con i padroni delle ferriere che al messaggio che “non fanno male al pianeta e fanno bene a te” fanno in realtà il loro bene con soldi a palate patrocinando le sette dei vegani. E il giornalista Carlo Cambi, sempre molto curioso quando si tratta di trend sovversivi, ne ha voluto sapere di più ascoltando il parere in merito di Elisabetta Bernardi nutrizionista dell’Università di Bari: sono un miscuglio di proteine vegetali provenienti dalla soia e piselli migliorando gusto e consistenza con l’aggiunta di olio di cocco ricco di grassi saturi, di legemoglobina (chimica pura) per aumentare l’apporto di ferro e di numerosi additivi il cui effetto sinergico non è stato ancora studiato. Ed esperti del settore zootecnico affermano che demonizzare la carne è del tutto errato perché le nostre carni sono le più controllate del mondo, perché il suo consumo dalle nostre parti in riferimento alla dieta mediterranea è assolutamente contenuto, perché abbattere gli allevamenti animali responsabili del solo 15% delle emissioni di CO2 in atmosfera è del tutto trascurabile, perché le agricolture intensive sono le maggiori consumatrici di acqua, perché non avremo più i nostri formaggi dal grana alla mozzarella, perché la carne da laboratorio è molto più costosa e sul fatto che faccia bene inviterei i lettori a indagare su internet sugli effetti della soia sul nostro organismo. E Paolo Benanti, religioso del terzo ordine francescano, specialista in bioetica nel suo libro “L’hamburger di Frankenstein” pone in rilievo la scelta etica di questo cibo considerando la biosicurezza essendo un prodotto nuovo per l’alimentazione umana anche dell’infanzia; le relazioni sociali in quanto viene coinvolto un intero settore produttivo con le carni animali oramai alla portata di tutti anche con allevamenti personali al contrario della supertecnologia per il nuovo prodotto che potrebbe condurre ad un “colonialismo alimentare” e quindi fomentare un problema geopolitico fra gli Stati e fra gli stessi consumatori che, intervistati, hanno espresso un giudizio positivo sul gusto ma non sulla necessità di nutrirsene, al limite per i “migranti” (pazzesco!). Ma per fortuna gli italiani ricominciano a mangiare carne, in controtendenza al vegetarianismo equo e solidale di sinistra, con i consumi che salgono del 5% (dati Ismea) e la riscoperta della sua cottura a fiamma viva col successo del libro di Michele Ruschioni “Braciamiancora. La tribù del barbecue” (Ed. Ultra Edizioni), riscoperta che non porta solo con sé il ritorno all’antico quando non c’erano altre forme di fuoco, ma ricompatta nuove e vecchie generazioni attorno ai carboni ardenti, ai loro preziosi fumi, se possibile lontani dalle coperture di rete, ipnotizzati dallo sfrigolio delle carni, immersi in calici di vino rosso o bicchieri di birra ghiacciata con le donne dedite al rilassante chiacchiericcio appena più lontane.