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Sdraiati

“Allevate più maiali e fate meno figli”. Era il 1979 quando nelle campagne cinesi si potevano scorgere striscioni di questo tipo, invito partorito dall’allora leader Deng Xiaoping che poi trasformò in legge autoritaria del “figlio unico” e che produsse circa 450 milioni di aborti, oltre a sterilizzazioni forzate.

Oggi a distanza di 40 anni, visto il progressivo invecchiamento della popolazione ed il sempre maggiore onere sul welfare Pechino decide di tornare indietro e di puntare ad un nuovo boom demografico per rinvigorire l’economia, invitando le coppie, con aiuti dello Stato, ad avere anche tre figli. Ma questo potrebbe non tradursi in una nuova esplosione demografica in quanto la Cina è carente in materia di politiche sociali e la globalizzazione ha condotto le giovani coppie cinesi a ragionare come in Occidente ed anche in quelle latitudini è sempre difficile conciliare lavoro, carriera e famiglia, senza dimenticare che l’esodo dalle aree rurali ha privato il Paese di uno straordinario bacino di forza lavoro. Forse si renderà necessario anche l’innalzamento dell’età pensionabile, attualmente di 60 anni per gli uomini e 55 anni per le donne. Comunque, anche se in ritardo, la Cina vuole investire sull’incremento demografico delle famiglie nazionali mentre sulle sponde italiche si incrementa la spesa non per sostenere l’economia di una famiglia ma per accogliere più immigrati per salvare il futuro welfare. In soldoni Xi Jinping sa che l’invasione islamica ha poco a che vedere con Confucio, mentre da noi cercano un improbabile sincretismo ove Gesù dovrebbe andare a braccetto con Maometto.

Qui la differenza! Si è celebrata la giornata mondiale dei genitori a ricordare il ruolo fondamentale di padre e madre nella cura, protezione ed educazione dei figli nella convinzione che per lo sviluppo della loro personalità abbiano bisogno di un ambiente familiare armonioso e comprensivo. Ambiente divenuto oggi, non solo per lockdown, disarmonico, conflittuale ed insidioso ove i ragazzi iperstimolati trovano conforto solo nella realtà virtuale del web ove sono esempi anche deprecabili e fuorvianti. Così si commettono grossolani errori educativi del mestiere più antico del mondo che nascono soprattutto dalle scarse occasioni di ascolto e comunicazione con la progenie. Errato pensare che i nostri eredi debbano crescere con le stesse regole con le quali siamo cresciuti noi in un mondo che cambia ad una velocità così rapida che da una generazione all’altra sembra esserci un abisso o pensare di averli sotto controllo con regole rigide e paletti, molto spessi disattesi.

Ma è altrettanto errato ritenere che esistano solo diritti senza gli opportuni doveri. Far sì che diventino autonomi impone anche qualche sacrificio e lavoro in più. Si fa presto a dire che la nostra generazione over 60 sia stata fortunata a differenza della sfortuna che colpisce le nuove generazioni. La nostra generazione dei “baby boomers” non è stata eccessivamente prodiga di privilegi e farsi strada e largo nella vita non era stato così semplice perché la concorrenza era alta, i luoghi decisionali spesso ben occulti, e la rassegnazione era dietro l’angolo, ed il lavoro da fare per emergere era duro e senza facilitazioni o scorciatoie e senza certezza del risultato.

Non dimentico che ai miei tempi anche un laureato in ingegneria doveva ripiegare nel fare il radiotecnico o il benzinaio! Il sociologo Luca Ricolfi in un suo articolo nota che l’idea che i giovani abbiano diritto ad una sorta di risarcimento per il destino cinico cui gli adulti li avrebbero condannati ha un qualche fondamento perché se l’Italia è in uno stato penoso dal punto di vista politico e sociale forse qualche responsabilità di chi ha governato sinora ce l’ha. Ed è facilmente dimostrabile, dati alla mano, che le opportunità di ascesa sociale sono ridotte ed è sicuramente diventato più difficile passare dal ceto medio-basso a quello medio-alto per il semplice fatto che le possibilità offerte nel dopoguerra dalla industrializzazione e terziarizzazione sono molto diminuite. Ma è altrettanto vero che in cinquant’anni, osserva Ricolfi, lo scarto fra il titolo di studio rilasciato, il cosiddetto “pezzo di carta”, e le competenze effettivamente acquisite è cresciuto a dismisura, ossia il divario fra ciò cui un giovane è autorizzato ad aspirare e ciò che il mercato del lavoro è disposto a riconoscergli.

Inoltre è anche controvertibile la tesi che la condizione giovanile sia sostanzialmente peggiorata in quanto i giovani hanno oggi la possibilità di dilazionare le scelte fondamentali e nel contempo di usufruire di un tenore di vita relativamente elevato, la cosiddetta condizione “signorile di massa” con poche responsabilità e molti paracadute ossia il lusso di consumare senza lavorare noi ce lo sognavamo! Lusso che è diventata una caratteristica delle ultime generazioni come si evince in questi giorni dalle riaperture delle attività commerciali: migliaia di esercenti, massacrati da 15 mesi di chiusure, alla disperata ricerca di personale da assumere, si sono sentiti rispondere da giovani meno giovani che loro preferivano il “reddito di cittadinanza” o di poter essere assunti “in nero” per non perderlo.

Ma va detto per completezza informativa che molti hanno cambiato anche prospettiva di lavoro preferendo lavori anche più duri ma più sicuri nel tempo come il delivery nelle multinazionali o nel settore edile, essendo realmente incerti i settori dei servizi turistici e di ristorazione. Questo non vuol dire che tutti i giovani consumino senza lavorare o che non vi sia anche un robusto settore di giovani che lavorano con serietà e impegno, spesso all’estero, ma il tenore di vita dei giovani italiani è oggi nettamente più alto di quello nostro e dei nostri padri e la quota dei “Neet”, cioè di quelli che non lavorano e non studiano o di quelli che studiano ancora in una età in cui dovrebbero lavorare è enormemente aumentata rispetto a 50 anni fa. I giovani di oggi, immersi nel mantra delle “vittime epocali” stentano, essendo poco avvezzi alla bisogna, a comprendere che gli obiettivi più alti non si raggiungono senza fatica, impegno e duro lavoro perché il successo non è un diritto da esercitare ma un traguardo da conquistare. Come l’esempio di Carla Fracci, figlia di un tranviere e di un’operaia che ebbe a dire “sa qual’ era la mia forza? Sapevo da dove venivo e volevo farcela” con decoro dignità e voglia di fare. Ed invece cosa fa la politica oggi per i giovani? Non facesse nulla sarebbe meglio! Invece si continua a dare loro mancette come i diecimila euro proposti dal segretario del Pd Letta, spremuti dalle successioni dei “ricconi”, ancora puro “metadone sociale”, al pari del “reddito di cittadinanza”, come lo ha definito il governatore della Banca d’Italia Vincenzo Visco, un analgesico che ritarda la consapevolezza individuale di essere parti fondamentali del progetto Italia con la conseguenza di naufragare nell’immobilismo.

Un Paese che vuole investire nel futuro deve fare i conti con una realtà tragica per la diversa applicazione del diritto all’istruzione Nord-Sud, famiglie abbienti-meno abbienti, per la pessima qualità della formazione scolastica rispetto alle esigenze di un mercato mutevole a causa della rivoluzione tecnologica, e sono in tanti a fuggire dallo studio e che non trovano lavoro. Insomma se la politica vuole pensare davvero ai giovani deve spendere di più per la famiglia, per la scuola distrutta dalle autonomie, dall’ingerenza delle famiglie, dall’abolizione di percorsi realmente formativi, dalla scarsa autorevolezza ed autorità dei professori, spesso umiliati se non denunciati nel loro operato, per la ricerca ed università. E siamo all’idea shock: maturità senza scritti! Se penso ancora quante volte vivo nel sogno l’incubo dell’esame di maturità, vuol dire quanto sia stata importante quella prova per tutto il resto della mia vita e scelte conseguenti.

Edulcorata all’eccesso! Tutti promossi! Meritocrazia troppo discriminante come sta avvenendo in certe università americane ove prove di matematica non concluse o errori grammaticali devono essere “perdonati” per evitare discriminazioni delle minoranze meno abbienti. Inutile proporre corsi di recupero come il prolungare la formazione incompleta anche in parte nei mesi estivi per il pregresso ostacolo indotto dalla pandemia. Manco a parlarne: professori e famiglie devono godersi le vacanze e chissenefrega della “carenza formativa”.

Ancora l’Università di Princeton nel New Jersey, dopo mesi di discussione ha deciso di cancellare il corso obbligatorio di greco e latino in quegli studi, religiosi o di natura antica, in cui finora era indispensabile su proposta del professore domenicano Padilla Peralta, studioso classico con specializzazione nel periodo della Repubblica romana e del primo impero. Secondo questo soggetto non importa se la cultura greca e latina sono alla base della nostra civiltà perché di fatto esse sarebbero state il motore del mito della “bianchezza”, una sorta di lasciapassare morale con il quale si sarebbe giustificato il colonialismo razzista che avrebbe caratterizzato la storia occidentale degli ultimi 500 anni.

Così come sarebbero da abbattere le statue di Cristoforo Colombo, allo stesso modo i classici sarebbero da richiudere in un cassetto se non da ardere in pubblica piazza. Certo senza persone “contaminate” da venefiche radiazioni della classicità, la battaglia per l’indottrinamento multiculturalista non potrà che dare frutti copiosi. Ecco come siamo ridotti! Un copioso esercito di giovani corretti, ignoranti e felici al servizio schiavista di pochi esponenti d’elite che si contendono il potere su di loro manipolandoli alla perfezione e facendo loro credere di essere anche “liberi”: certo liberi di ubbidire ma non certo di pensare! Poche le parole acquisite significa solo povertà di pensiero! Cari giovani se non vi risvegliate e vi “fate il culo” vi aspetta solo una tragica sudditanza!