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SOVRANISMO

FOTO-RUBRICA-SITO-DAMIANI2-400x242-1 2L’analisi che in un’articolessa Ezio Mauro fa su Repubblica prende atto di un allucinante risultato “C’è una formula che riassume tutto questo, il mondo è senza un tetto, in questo mondo scoperchiato il cittadino torna individuo, si stente esposto e cerca protezione, sicurezza, tutela, magari rifugio, anche solo riconoscimento”. In questa condizione, per tornare agli schemi del secolo scorso, la destra conservatrice non sa che pesci pigliare in quanto animata da una progettualità multiforme che ne decreterà forse la fine mentre la sinistra non può che constatare la défaillance della sua cultura fin troppo aperta al dirittismo, ai flussi migratori delineati come un arricchimento multiculturale capace di spaventare solo dei trogloditi che non capiscono le sorti magnifiche e progressive dell’aperture dei confini. Come sta avvenendo col Capo di Stato Maggiore Enzo Vecciarelli che afferma che “Non si tratta più di difendere i confini” anche se poi il significato è stato edulcorato con l’idea che la minaccia in realtà è ibrida perché oltre i confini la protezione va allargata ai flussi, ai movimenti delle persone e dei capitali che avvantaggerebbero anche il nostro paese avviando attività economiche ed industriali in molte parti del mondo. E su questa base che si cela il vento della globalizzazione e la sua stessa giustificazione. Per un capo di Stato maggiore della Difesa mi sembra un po’ fuori luogo e fuori compito le larghe maglie dei confini che metterebbero fine anche ai compiti dell’Esercito e delle Forze dell’ordine. E da questo “dopoguerra eterno” come lo definisce Pietrangelo Buttafuoco, storico e scrittore molto difficilmente etichettabile, che non si riesce ad uscire con la mancata analisi di un’epoca che ha prodotto anche fenomeni importanti, uno sviluppo architettonico incredibile, il tutto schiacciato tra un antifascismo di comodo ed il cretino in orbace. Ma la “Cosa nera” denuncia una sinistra che non avendo più un’idea o un progetto sociale ripara sull’emotività per finire nelle mani di saltimbanchi alla Zerocalcare o alla Murgia. Ed il passaggio, come dice Massimo Cacciari, dal sociologismo d’accatto del mondo liquido al populismo, il passo è breve. Ma anche la destra ne fa le spese perché non riesce a far convivere i suoi valori con un occidentalismo molto liberalista e individualista nel contempo di una Russia che riscopre il peso della sua storia, l’India che si appoggia alla sua tradizione millenaria ed una Cina comunista che si riscopre confuciana. E di tutto questo fa le spese un “sovranismo” che non accompagnato da un costrutto coerente e attuale si limita al rimpianto di un epoca passata che non c’è più. Ma la “Cosa nera” che alza i muri, nazionalizza i diritti, munisce i confini e che tanto spaventa le oligarchie europeiste non è altro che pura e semplice democrazia. Come lo è la politica di Donald Trump, di Matteo Salvini, accusato di aver addirittura rinnegato la tradizione cristiana del Paese, cosa non assolutamente vera se si vedono le sue lotte per il rispetto dei valori fondanti il cristianesimo dalla famiglia al rispetto della vita, dell’ungherese Orban, tacciato di essere un democratico illiberale sebbene difenda la libertà e la storia europea dall’invasione islamica. Questi leader, insieme ad altri del gruppo di Visegrad, hanno la grave pecca di avere un consenso popolare teso a proteggere la sovranità delle loro nazioni costruendo un’alternativa a quella degli illuminati della “Repubblica globale” ove regna la tecnocrazia, le false unioni burocratiche, i grandi circoli chiusi sia finanziari che mediatici. Ed è proprio il popolo, per la molteplicità degli individui che lo compongono a percepire lo spirito del tempo, il misterioso “Zeitgeist”, che muove la storia a dispetto di quanto partoriscano i salotti bene nelle loro previsioni molto lontane da una realtà che non conoscono, e che si sta riappropriando della propria sovranità riportando in auge quei tabù da tempo trascurati e vilipesi che sono la “nazione” e “l’etnia” come descrive Claudio Risè in un suo articolo. E sono proprio questi concetti rivalorizzati che hanno condotto alla dissoluzione di quei regimi che imprigionavano le nazioni come l’URSS e la Jugoslavia, sebbene si pensava che questo fosse l’inizio di una globalizzazione sotto l’ombrello del capitalismo e delle multinazionali. E molti ci credettero rioscurando le sovranità nazionali. Ma non tutti erano d’accordo e Risè riporta un libro del suo maestro Stanley Hoffmann “La fine della globalizzazione” che descriveva un mondo unificato sotto gli interessi delle èlite che stava implodendo con le nazioni che tornano protagoniste della loro storia con i loro popoli in cerca di identità e sovranità. Ed è quello che sta succedendo in Europa con i nazionalismi sovranisti verso cui i popoli nutrono più fiducia rispetto alle organizzazioni internazionali e ai superstati come la UE. Etnie e territori sono elementi naturali della storia mentre economia e tecnocrazia sono elementi sovrastrutturali e per questo non possono funzionare da soli. E le aggregazioni fra nazioni ci sono sempre state sia all’interno che fra gli Stati. E gli Imperi tanto vituperati per la loro autarchia non erano altro che aggregazioni fra nazioni nel rispetto delle loro unicità, di cultura lingua e religione e l’ultimo impero, quello asburgico composta da 12 nazioni, è durato circa un secolo. Come la CEE che funzionava benissimo sostituita da una UE che appare molto debole, perciò molto autoritaria in quanto pretende di uniformare le diversità anche in ambiti molto personali. Questa è una vera e propria “democratura” che i popoli non possono accettare. Europa sì ma non spinelliana bensì adenaueriana dove le nazioni mantengono la loro identità in una costruttiva cooperazione. A dare manforte a tale indirizzo il filoso israeliano, biblista e teorico politico, presidente di The Herzl Institute a Gerusalemme, Yoram Hazony ha dato alle stampe il libro “The Virtue of Nationalism” ove sostiene che solo un ordine mondiale nazionalista è capace di salvaguardare realmente la libertà nel mondo di oggi.  L’opposizione fra globalismo e nazionalismo rappresenta la grande lotta politica della nostra epoca e sta ridefinendo la politica nazionale non solo in America, ove Trump ha detto che “un globalista è una persona a cui sta a cuore il benessere del mondo senza più tanto curarsi del bene del nostro Paese”, ma anche nel Regno Unito, in Italia, Europa orientale e in tutto il mondo democratico. Ed il filosofo afferma che “storicamente la parola “nazionalismo” è stata usata per descrivere una visione del mondo in cui lasciare che le nazioni siano libere di tracciare il proprio corso indipendente è considerato il miglior modo per governarlo. Questa visione si oppone all’ “imperialismo” che invece mira a portare pace e prosperità nel mondo unendo l’umanità sotto un unico regime politico”. Ed è molto illuminante quando da storico descrive che il mondo moderno è nato nel momento in cui il mondo protestante ha abbracciato il principio di autodeterminazione nazionale, culminato nel 1534 quando Enrico VIII ufficializzò la separazione dalla Chiesa di Roma e rifiutò di sottomettersi al Sacro romano impero. Il modello inglese di indipendenza nazionale fu successivamente adottato dai Paesi Bassi, dalla Scozia, dalla Francia e infine dall’America. Per più di quattro secoli i popoli dell’Europa occidentale e dell’America hanno vissuto sotto una nuova costruzione del mondo politico in cui l’indipendenza e l’autodeterminazione nazionale sono state considerate gli elementi chiave per un mondo libero. Ed è proprio questo ordine nuovo di nazioni indipendenti in competizione fra loro che ha fornito un dinamismo unico all’Europa promuovendo uno straordinario risveglio di energie sopite, un grado elevato di sperimentazione ed innovazione in politica ed economia, scienza e religione. In altre parole il sistema degli Stati-Nazione ha plasmato il mondo in cui viviamo. Ed è per questo che i nazionalisti si oppongono tenacemente al globalismo o “transnazionalismo” che in realtà e solo un altro nome per designare l’aspirazione ad un impero liberale mondiale in cui i diritti individuali e il libero mercato vengono imposti, ove necessario, a nazioni recalcitranti da un regime internazionali ove solo alcuni Paesi ed strette oligarchie la fanno da padrone. Il nazionalista considera la natura umana per quella che è, da sempre legata e leale a famiglia, tribù ed agisce per promuovere gli interessi, la coesione interna e l’eredità culturale specifica della collettività cui appartiene. E da questa indipendenza e da queste lealtà che scaturisce la cooperazione e la competitività che rendono migliore il progresso e la condizione umana. E da questa libertà nazionale che nasce la tolleranza verso le altre libertà parallele e consonanti e il limite verso il potere del governante di turno, diversamente dallo Stato imperiale che non godrà mai di livelli così forti di lealtà. Allora abbiamo o no ragione per l’allarme che stiamo vivendo? Bisogna assolutamente tornare in trincea prima di finire “chippati” e finire in un dormitorio loculare!

Arcadio Damiani