… un percorso lungo 5 mila anni.
Edwin Smith nel 1862 acquistò a Luxor da Mustafà Aga un papiro e sebbene sapeva del valore del manoscritto e della sua importanza storica, non lo rese mai pubblico. Dopo la sua morte, nel 1906, lasciò il reperto alla figlia, che lo donò alla New York Historical Society. La scoperta e la decifrazione del papiro di Smith, scritto nel 3000 a.C. da Imhotep visir del faraone Necherjet Dyeser (sacerdote, astronomo, primo architetto e medico, considerato il fondatore della medicina egizia), porta l’utilizzo della chirurgia estetica già nell’antico Egitto. Anche se le attrezzature ed i materiali utilizzati non sono sicuramente riconducibili a quelle moderne, quello che stupisce, è come alcune tecniche chirurgiche usate siano in ancora oggi in uso; (erano a conoscenza di come deve essere allestita una sutura e di come si medicano ferite in modo da non produrre cicatrici “sgradevoli alla vista” ed utilizzavano un ampio assortimento di droghe come anestetici).
Gli interventi più comuni riguardavano malformazioni del naso e delle orecchie ma non mancavano interventi per correggere piccoli inestetismi; al tempo di Cleopatra era conosciuto il peeling chimico per “spianare” le rughe anche se era praticata solo dai ceti sociali più alti. I chirurghi assiro-babilonesi erano conoscitori delle pratiche riguardanti la blefaroplastica (per correggere palpebre cadenti o occhiaie), mentre i chirurghi indiani delle pratiche per la ricostruzione nasale, tanto che la loro tecnica viene ancora oggi utilizzata e prende il nome appunto “del lembo indiano“. Già nel 600 a.C.. in Cina, si praticava la ricostruzione estetica di orecchie e labbra e nel VII sec. a.C., come riportato da Paolo di Egina medico alessandrino, si praticava la riduzione del seno. In epoca romana, ci sono documentazioni storiche riguardo ad interventi di asportazione di pannelli adiposi; Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.) dà i natali ad una tecnica che ricorda molto la liposuzione, sperimentata “eroicamente” per trattare l’obesità sul figlio del console L. Aprono.
Certo dovevano esserci seri motivi per sottoporsi ad interventi sicuramente dolorosi, con degenze lunghe e rischi di setticemie; anche il risultato finale, non sempre era quello preventivato: ci sono statue dell’antico impero romano dove si possono notare cicatrici nei volti per interventi … non proprio perfettamente riusciti. L’imperatore romano Giustiniano II (detto “naso mozzo”) fu deposto e, per impedirgli di riconquistare il trono, gli fu amputato il naso; se lo fece ricostruire, tornò al potere e fece coniare una moneta, con il naso in bella mostra. La chirurgia estetica è “figlia” della chirurgia “tradizionale” e le tecniche sono una variante di quelle che venivano utilizzate per correggere traumi e fratture. In quel tempo infatti l’arte della guerra era molto diffusa così come quella dei combattimenti a scopo di intrattenimento, questo portava ad avere un buon numero di pazienti (soldati e gladiatori) costretti a ricorrere al chirurgo, con uno sviluppo di tecniche e conoscenze chirurgiche che poi, con qualche variante, venivano utilizzate per motivi puramente estetici.
Addirittura la pratica chirurgica era così tanto richiesta che molti “medici” o “pseudo-medici” andavano oltre le proprie conoscenze con risultati a volte deleteri, fino a rendere necessaria l’emanazione di una legge ad hoc per i medici che “sbagliavano” gli interventi: in base al danno arrecato, la punizione prevedeva l’amputazione di un dito della mano colpevole dell’errore, o della intera mano o dell’arto. Tempi duri per gli “iscritti all’ordine dei medici- chirurghi”.