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Trebbiano Macerato: amore, famiglia e sperimentazione per il nuovo cru di Barone Cornacchia

L’azienda agricola Barone Cornacchia di Torano Nuovo (Teramo) continua a scrivere la storia della vitivinicoltura in Abruzzo con una nuova creazione. Nei giorni scorsi i fratelli Caterina e Filippo Cornacchia – quinta generazione di una famiglia di produttori di vino che dal 1488 ha possedimenti a Civitella del Tronto e dintorni, vinificatori dal 1870 – hanno presentato un nuovo vino biologico di gran pregio, parente stretto del Trebbiano Casanova con cui condivide i vigneti della tenuta Il Lago: il Trebbiano Macerato vendemmia 2019. Si tratta di una prima produzione limitata (2.500 bottiglie) dedicata al barone Filippo Vizzarro Cornacchia, che nel 1921 iniziò la sperimentazione del Trebbiano con macerazione sulle bucce.

 

A un secolo di distanza da quella sperimentazione, e sotto la guida attenta dell’enologo Goffredo Agostini, Caterina e Filippo hanno ridato vita al sogno di un Trebbiano fortemente aromatico, ricco di profumo e di qualità. Dopo la raccolta a mano e la diraspatura, l’uva pigiata viene messa a fermentare a contatto con le bucce. La macerazione avviene in una vasca di acciaio inox, a temperatura controllata di 16°, per un periodo di 32 giorni. Per questa prima produzione la fase di macerazione è terminata nel mese di ottobre 2019, dopodiché la svinatura è avvenuta con l’utilizzo di una pressa soffice. Dalla metà di ottobre 2019 alla metà di novembre 2020 il vino ha riposato sulle proprie fecce in una vasca di acciaio inox.

 

Durante questi dodici mesi di “sosta”, la massa è stata rimescolata periodicamente con batonnage frequenti, tecnica consolidata per portare in sospensione le fecce. Sei mesi di affinamento in botte (da dicembre 2020 a giugno 2021) e infine l’imbottigliamento. Il risultato è complesso e straordinario: un vino bianco dal forte carattere, la cui mineralità calcarea spinge profumi di frutta matura e secca, con note di menta e salvia. Una ben riuscita alchimia di cui il barone Vizzarro – cui i bisnipoti hanno già dedicato un grande montepulciano riserva Docg – andrebbe sicuramente fiero. L’azienda è anche consociata al Consorzio Colline Teramane Docg, con attestazione di uve di Denominazione di Origine Controllata e Garantita, ed è anche proprietaria del clone di biotipo di Montepulciano certificato Rauscedo 7, con prime omologazioni avvenute nel 1967. L’azienda Barone Cornacchia ha inoltre ricevuto i primi premi e i primi riconoscimenti per i propri vini fin dal 1930.

 

Ma spiegare il successo di questo vino e di questa azienda con la sola cura certosina dei 60 ettari di vigneti, con la sola esperienza secolare e con la sola sapienza enologica non sarebbe sufficiente. Così come non è sufficiente dare merito alla fortuna di insistere su colline baciate sempre dal sole, con vigne a filari a cortina semplice pendente coccolate dal maestrale, dal libeccio e dal levante che provengono dall’Adriatico, o sferzate dai venti freddi del Gran Sasso e della Laga. La forza dei Barone Cornacchia si chiama curiosità, conoscenza, sperimentazione. Virtù alle quali si aggiunge il fattore umano. “Padroni” e “operai” lavorano fianco a fianco. Probabilmente non esistono al mondo tenute dove alle vigne è stato dato il nome del fattore che le lavorava. Come se si fosse un’unica, grande famiglia. Ecco perché, guardando i genitori Piero e Paola e i fratelli Caterina e Filippo abbracciati per la foto di commiato ai giornalisti, è più facile comprendere come la differenza sia tutta nel Dna di famiglia, fatta di secoli di amore e di passione.