Il ruggito del coniglio: Trump sbanda, Musk scappa, Meloni si brucia e l’Italia fa cassa con la guerra

“Quando un potere finge di ruggire, spesso è solo il suono di una pecora impaurita.”
Liberamente ispirato a Robert Redford, dal film ‘Leoni per pecore’

La farsa che supera la tragedia

C’è un momento nella storia in cui la farsa supera la tragedia. Un punto esatto in cui il potere smette di incutere timore e comincia a suscitare riso. In questo momento siamo esattamente lì.

Trump, il leone impagliato

Donald Trump, ex imperatore arancione dell’Occidente, prometteva il ritorno del “grande America” con pugno duro e mascella sporgente. Peccato che, di fatto, sia un leone senza denti né criniera, con un debito sovrano che ha superato i tre trilioni di dollari. E quel debito? Per il 60% è nelle mani di Cina e Giappone, con l’India che si sta rapidamente affermando come terza potenza di fatto nell’area. Insomma, le vere regole del gioco oggi non le detta né Washington né Bruxelles, ma Pechino, Tokyo e New Delhi. Trump può ruggire quanto vuole: è un leoncino impagliato sul trono di un impero in declino.

Incastro giudiziario e crollo d’immagine

Sul fronte interno, i tribunali federali lo inchiodano, sentenze si accumulano come post-it su un frigorifero, e pure qualche corte internazionale inizia a interessarsi alle sue acrobazie giuridiche. Harvard, da cui un tempo avrebbe preteso un dottorato ad honorem per la sua “genialità economica”, ora gli chiude le porte in faccia con la sobrietà di un portiere stanco.

Gaza, Ucraina e altre assenze

Gaza? Ucraina? Due crisi epocali in cui l’uomo del “fare” ha fatto… nulla. A parte qualche post su Truth Social scritto con la grammatica di un adolescente ribelle e l’ispirazione di uno zio ubriaco a Natale. I dazi? Ne annuncia due o tre al giorno, cambiando opinione con la stessa rapidità con cui cambia tonalità la sua abbronzatura. Ormai Wall Street lo segue come si seguirebbe un piccione col GPS impazzito.

Musk si defila con prudenza

Nel frattempo, Elon Musk – l’anti-eroe del tech, il visionario a orologeria – sente che la barca scricchiola. E da buon topo con la laurea in fisica e l’istinto di un borsista affamato, salta giù. Abbandona Trump, rallenta le provocazioni, ripulisce il profilo. La libertà d’espressione? Era buona finché faceva pubblicità. Ora serve capitalizzare, non polemizzare. Se l’impero crolla, almeno che cada su qualcun altro.

Meloni tra illusioni e sottomissioni

Poi c’è Giorgia Meloni, che voleva giocare a dama sul tavolo degli scacchi globali. Si è ritrovata pedina. L’idea di fare da “pontiera” tra Europa e America – tanto evocata in campagna elettorale – è stata sacrificata sull’altare della compiacenza. Ormai, a Washington, è più prevedibile di un messaggio motivazionale su LinkedIn. Da leader della destra post-ideologica a scialuppa americana in un Mediterraneo sempre più caldo e instabile. E il sogno di un’Italia autonoma in politica estera? Dissolto, come un manifesto sotto la pioggia.

L’Italia fa cassa con la guerra

Intanto l’industria bellica italiana gode. Sì, perché mentre i pacifisti scrivono editoriali e l’ONU emette condanne rituali, chi fabbrica morte ha moltiplicato i profitti. Le esportazioni volano, i dividendi pure. E se Gaza o il Donbass dovessero smettere di bruciare? Beh, sarebbe un problema industriale prima che umano. La pace, oggi, è una minaccia per il mercato. E i mercati, si sa, sono sempre più importanti delle vite.

Il mimetismo di Tajani

A completare il quadretto, Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri più mimetico della fauna diplomatica europea. Parla di Israele con toni talmente misurati da sembrare partoriti da un algoritmo addestrato a evitare qualunque responsabilità. Le sue dichiarazioni sono piccoli capolavori di equilibrio lessicale, ma incapaci di spostare anche solo una foglia sul terreno arso del conflitto. La sua indignazione, quando c’è, ha l’impatto emotivo di un’intervista al TG2 delle 13:00.

La farsa che supera la tragedia: ‘Leoni per pecore’, o la nostra realtà

In questo scenario quasi kafkiano, verrebbe quasi da consigliare una visione del film ‘Leoni per pecore’ di Robert Redford. Non a caso sparito presto dalle piattaforme e ritirato dalle programmazioni. Il film profetizza un’America incapace di gestire i propri conflitti interni ed esterni, con leader che sembrano più pecore impaurite in abiti da leoni. Ecco, la nostra attualità è esattamente quella scena: un mondo che pretende autorità, ma offre solo impacci e fughe.

La farsa che supera la tragedia: Il grottesco suono del presente

E mentre tutto questo accade, l’Occidente – quello che doveva essere guida morale, faro di diritti, motore di progresso – si avvita su sé stesso. Il ruggito del coniglio è l’emblema di questa fase storica: leader che si presentano come titani e si rivelano nani su trampoli di cartone. Politici che parlano di pace mentre firmano forniture d’armi. Multimiliardari che vendono futuro mentre scappano dal presente.

Il tempo dei conigli travestiti da leoni: La farsa che supera la tragedia

Il mondo non finisce in una grande esplosione, diceva qualcuno. Ma in un lamento grottesco, un tweet storto, una conferenza stampa vuota. E forse è proprio questo il suono del nostro tempo: non il tuono della Storia, ma il fruscio di conigli che cercano di convincerci di essere leoni.

di Carlo Di Stanislao

La Redazione de La Dolce Vita
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