Erode, che fine hanno fatto i vostri figli? Ah, già, sono “normali”…

“Che ogni generazione, presumendo la sua innocenza, tradisca ignobilmente la precedente.” – W.H. Auden

Capacità di svanire nel nulla cosmico

Nel pantheon delle storie di ordinaria (stra) giustizia italiana, alcune vicende brillano di una luce particolare, non tanto per la loro complessità giuridica, quanto per la loro capacità di svanire nel nulla cosmico dell’attenzione pubblica. Parliamo, ovviamente, dei processi ai figli di due figure centrali della politica nostrana: il rampollo di Beppe Grillo e quello di Ignazio La Russa. Due saghe giudiziarie che, se fossero state scritte da uno sceneggiatore hollywoodiano, verrebbero cestinate per la scarsa plausibilità.

Il caso Grillo Jr.: dal clamore al silenzio

Ricordate il figlio di Grillo? Quel caso di presunta violenza sessuale che ha monopolizzato telegiornali e talk show, con tanto di video espliciti e dibattiti feroci? Sembrava il processo del secolo, destinato a ridefinire i contorni della “giustizia per tutti”. E poi? Beh, e poi il silenzio. Un silenzio tombale, così denso che potresti tagliarlo con un coltello smussato. Un po’ come la famosa frase di Fantozzi: “Con questa pioggia, non si vede un tubo!”. E i tubi di questa giustizia, evidentemente, sono stati otturati da qualcosa di molto, molto denso. L’ultima che si sa è che le accuse sono cadute. Magicamente. Come per incanto. Un classico della prestidigitazione giudiziaria italiana.

Il figlio di La Russa: fiamme spente in fretta

E che dire del figlio di La Russa? Quello accusato di violenza sessuale da una ragazza con cui aveva trascorso una notte? Un caso che, per un attimo, ha fatto tremare i palazzi del potere e riacceso il dibattito sul “maschio alfa” e sulle dinamiche del consenso. Anche qui, la trama si è fatta via via più sottile, fino a diventare trasparente. Un’inchiesta che prometteva scintille, si è spenta come un fiammifero bagnato. L’ultima informazione che ci è giunta è una richiesta di archiviazione della Procura. E come per il collega di sventura, anche qui, la magia è stata compiuta.

Due pesi, due misure

È quasi commovente osservare questa sinfonia di “non colpevolezza” che sembra suonare solo per determinate orchestre. Mentre per il comune mortale, un ritardo nel pagamento di una multa può trasformarsi in un incubo burocratico decennale, per i “figli di” la giustizia assume le sembianze di una madre amorevole che, con un colpo di spugna, pulisce ogni macchia.

Il privilegio dell’appartenenza

Forse il segreto è l’essere “figli di”. Non di Dio, ovviamente, ma di coloro che, direttamente o indirettamente, tengono le redini del potere. O forse, più semplicemente, la giustizia italiana ha una sua sensibilità artistica molto particolare: predilige le opere di arte astratta, quelle in cui la forma si dissolve e il significato si perde nell’infinito.

Capacità di svanire nel nulla cosmico: Normalità garantita, per chi può

In fondo, chi siamo noi per giudicare? L’importante è che questi giovani abbiano ripreso la loro vita “normale”. Quella vita normale che, per le vittime o presunte tali, potrebbe non tornare mai più. Ma ehi, l’importante è che il circo sia finito e che lo spettacolo della giustizia, per queste due figure, sia stato un trionfo di… archiviazioni e proscioglimenti. Attendiamo con ansia il prossimo capitolo di questa saga, magari con un spin-off sui “figli di” che ottengono un posto a tempo indeterminato in qualche ente statale. In fondo, la “normalità” va pur mantenuta.

di Carlo Di Stanislao

La Redazione de La Dolce Vita
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