“Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi.” — J. Robert Oppenheimer
“Così finisce il mondo, non con uno schianto ma con un lamento.” — T. S. Eliot
Il Teatro dell’inganno occidentale
Nel cuore dell’impero morente, tra liturgie mediatiche e salotti dorati, si consuma il teatro dell’inganno occidentale. Un potere che non decide, una leadership che non guida, una guerra che si combatte senza dichiararla. Tutto è scena. Tutto è spettacolo.
La verità come bersaglio
Non c’è più bisogno di nascondere la verità: basta renderla irrilevante. Il potere contemporaneo non mente per nascondere, ma per disintegrare il concetto stesso di verità. È la “misura inferiore alla guerra” descritta da Kastner e Wohlforth: propaganda, disinformazione, teatro diplomatico, coazione mediatica. Il tutto mascherato da “soft power”. In realtà, è manipolazione pura. Guerra ibrida? No: è il dominio della percezione.
Le parole svuotate di senso
In questa distorsione permanente della realtà, le parole hanno perso ogni legame con le azioni. “Pace”, “diritti”, “libertà” sono monete svalutate, brandite da chi li tradisce ogni giorno. La politica è diventata spettacolo, i vertici globali sono reality show, e i leader? Attori maldestri, in un dramma che finge potenza ma esala impotenza.
Pensatori come Vattimo, Ratzinger e Bauman ci avevano messo in guardia. Vattimo ci ha parlato del pensiero debole non come arrendevolezza, ma come critica alla pretesa di fondamenti assoluti — oggi, chiunque metta in discussione la narrazione dominante viene immediatamente silenziato. Ratzinger, con la sua visione di verità come garanzia della libertà, è stato rimosso come una reliquia ingombrante. E Bauman ci aveva avvertito: la modernità liquida dissolve ogni certezza, ma senza punti fermi si è in balia dei demagoghi.
Il Tao ignorato
E i taoisti? Con il loro invito all’agire non forzato, sembrano oggi marziani. In un’epoca in cui tutto dev’essere immediato, reattivo, visibile, contemplare è un atto rivoluzionario. Ma non c’è spazio per il Tao nella politica dell’hastag e del tweet. C’è solo rumore.
Il silenzio delle cancellerie: Il Teatro dell’inganno occidentale
Nel frattempo, il mondo brucia. Dall’Ucraina a Gaza, dall’Africa occidentale ai Balcani, si moltiplicano i conflitti, mentre le cancellerie occidentali si limitano a comunicati preconfezionati. E l’Italia? Un Paese in ginocchio economicamente, umiliato culturalmente, guidato da una premier che recita a memoria copioni scritti da altri.
La premier e il copione vuoto
Giorgia Meloni si agita sul palcoscenico della diplomazia come un’attrice consumata, ma il copione è vuoto. L’ultima trovata scenica è il “vertice” romano in occasione dell’intronizzazione di Leone XIV. Una premier, un vicepresidente americano (J.D. Vance), una presidente della Commissione europea (Von der Leyen), qualche senatore USA. Nulla di deciso, nulla di nuovo. Solo dichiarazioni vaghe, slogan già sentiti: “unità”, “nuovo inizio”, “responsabilità”. È propaganda da rotocalco. È la geopolitica trasformata in talk show.
La farsa della centralità italiana: Il Teatro dell’inganno occidentale
E mentre l’Italia si sgretola — tra sanità al collasso, salari da fame, e una giustizia disfunzionale — Meloni recita il ruolo della garante degli equilibri globali. È farsa, è illusione di centralità. È un tentativo disperato di compensare l’insignificanza strutturale con l’iperpresenza mediatica.
La vera guerra: contro il pensiero
In questo teatro, l’unica cosa reale è la guerra. Non quella con i carri armati — quella è solo l’epifenomeno. La vera guerra è culturale, cognitiva, spirituale. È la guerra contro il pensiero. Contro la complessità, contro la verità.
Dune e il potere della narrazione
Non a caso Dune, il capolavoro di Frank Herbert, è tornato a risuonare come un oracolo moderno. Un mondo governato da ordini religiosi, clan famigliari e visioni del futuro manipolate: è lo specchio del nostro tempo. Dove ogni messia è un costrutto, ogni alleanza è una trappola, e il potere è un veleno che si trasmette attraverso la parola. Villeneuve lo ha compreso: la vera arma non è la spada, è la narrazione. E oggi, chi controlla la narrazione comanda il mondo.
L’ultima scelta: rompere il frame
Ma siamo ancora in tempo. Non per salvare l’Impero — è già morto, anche se ancora non lo sa — ma per salvare il pensiero. Serve coraggio per rompere il frame, per uscire dalla simulazione, per nominare ciò che nessuno osa più dire: che l’Occidente ha perso il suo centro morale. Che la democrazia è degenerata in oligarchia comunicativa. Che l’unico futuro possibile passa attraverso il silenzio, il dubbio, il disarmo del linguaggio. Lontano dai vertici, lontano dai riflettori.
Il Teatro dell’inganno occidentale: Tra lamento e risveglio
Forse, come disse Eliot, il mondo finirà con un lamento. Ma noi possiamo scegliere se quel lamento sarà un pianto sterile o un grido di risveglio. Sta a noi decidere se continuare a vivere nel teatro dell’inganno — o distruggere il palco.