Vecchi saggi o saggi vecchi? La trappola filosofica della vecchiaia patinata

“Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.”
— Marco Aurelio

Un nuovo libro sull’età che avanza: “Socrate, Agata e il futuro”, il tema della vecchiaia.

Beppe Severgnini ha pubblicato “Socrate, Agata e il futuro” e, con la consueta leggerezza che lo contraddistingue, ha deciso di affrontare il tema della vecchiaia. Lo fa con lo stile che lo ha reso noto: ironico, pacato, accessibile. Ma proprio questa accessibilità — che per molti è un pregio — qui rischia di diventare un limite. Perché trattare la vecchiaia come se fosse solo una parentesi simpatica della vita, piena di aneddoti teneri e riflessioni “alla buona”, significa togliere spessore a un tema che è, in realtà, tra i più profondi e disturbanti della condizione umana.

Socrate, o meglio Sgalambro?

Viene il sospetto che Severgnini si senta un po’ filosofo. Ma la domanda è inevitabile: ha mai davvero letto un libro di filosofia? Non parliamo delle semplificazioni da scaffale alto in libreria, ma di filosofi che hanno parlato della vecchiaia con la serietà, il coraggio e persino la ferocia che merita. Pensiamo a Marco Aurelio, che nei suoi Pensieri parla del tempo come di un flusso inarrestabile in cui la saggezza non è una conquista rassicurante, ma una forma di accettazione dolorosa. Oppure a Blaise Pascal, che non ha mai avuto l’ingenuità di cercare conforto nella maturità, ma anzi ha visto nell’età e nella fragilità fisica la prova suprema della vanità umana. Scriveva: “La sola cosa che consola della nostra miseria è il divertimento, e tuttavia è la cosa più misera di tutte.”

Il pensiero scomodo di Sgalambro

E poi c’è Manlio Sgalambro. Filosofo duro, scomodo, spietato. La sua riflessione sulla vecchiaia è tutto fuorché confortante. In “La morte del sole” o “Del Delitto. Della pena. Della vecchiaia”, la vecchiaia non è un passaggio sereno, ma un lento collasso dell’individuo, una riduzione progressiva dell’essere a pura sopravvivenza. Sgalambro non cerca di addolcire nulla. Sa che il pensiero autentico è quello che non cerca consolazioni. Per lui, invecchiare è un’esperienza radicale, senza scorciatoie linguistiche né ironie da salotto.

Un saggio o una chiacchierata?

Il libro di Severgnini, invece, sembra voler proteggere il lettore. Lo accompagna, gli fa battute ammiccanti, si limita a raccontare l’esperienza personale come se bastasse. Non è un male in sé. Ma diventa problematico quando si presenta come un saggio. Perché un saggio ha il dovere — se non la vocazione — di andare a fondo. Di sollevare domande, anche scomode. Di non essere, insomma, un bignami da comodino.

Il pericolo della vecchiaia addomesticata

Il problema più profondo non è nemmeno quello dell’autoironia facile, o dell’umorismo da giornalista esperto. Il vero inganno — e forse la vera colpa — è estetica e morale: far passare la vecchiaia per qualcosa di elegante, quasi piacevole, come se fosse una seconda giovinezza dai toni pastello. Ma è davvero così? È così per chi ha i mezzi, il tempo, il riconoscimento sociale. È facile invecchiare se sei ricco sfondato, se hai editori che ti chiamano, lettori che ti applaudono, amici influenti che ti invitano ai festival. Ma per chi invecchia ai margini, nel silenzio, con la fatica di arrivare alla pensione o con la paura di diventare un peso, dove sono le parole? Dove l’onestà nel rappresentare anche questa parte della verità?

Una verità non detta

Un libro sulla vecchiaia, se vuole essere davvero tale, dovrebbe avere il coraggio di parlare anche dell’irrimediabile. Della perdita di ruolo, di senso, di corpo. Della rabbia e della malinconia. Non si tratta di essere cupi per partito preso, ma di non essere accomodanti. Di non mentire. Di non trasformare il pensiero in intrattenimento.

Un’occasione mancata

Severgnini ha scritto un libro che potrà confortare, far sorridere, forse persino commuovere. Ma non ha scritto un libro che pensi davvero la vecchiaia. E se non si pensa davvero qualcosa, allora si rischia di mentire. Con garbo, con stile — ma pur sempre mentendo.

Il Tema della Vecchiaia: Mappe vere, non dépliant illustrati

Perché la vecchiaia, come diceva Seneca, “non è un naufragio, ma una lunga navigazione in acque sconosciute.” E servono mappe vere, non dépliant illustrati.

di Carlo Di Stanislao

La Redazione de La Dolce Vita
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