Trentasei anni senza Sergio Leone. Ma il suo cinema non ha mai smesso di parlare.
“Il cinema è un modo di esprimersi, di raccontare, di vivere. Non è mai solo intrattenimento.”
— François Truffaut
Trentasei anni senza Sergio Leone. Ma certe morti sono solo dettagli anagrafici, punti su un calendario che non riescono a contenere l’immensità di un’eredità. Perché il cinema di Leone, a dispetto del tempo, è ancora qui. Vive nel fischio di un treno che arriva sotto il sole, in una mosca che ronza nel silenzio prima di una sparatoria, in uno sguardo che dura più di un dialogo.
Sergio Leone e il suo Western
Leone non è stato solo un regista. È stato un mitografo. Ha preso il western, genere simbolo dell’epica americana, e lo ha smontato, privato delle sue certezze eroiche, per restituirlo carico di polvere, vendetta, solitudine e malinconia. Non ha inventato il western all’italiana. Lo ha santificato. E come ogni santo eretico, è stato frainteso, imitato, ma mai davvero riconosciuto dai poteri ufficiali.
Per un Pugno di Dollari
Il suo primo colpo al cuore arrivò nel 1964, con Per un pugno di dollari. Non era solo un western: era una scossa sismica. Il mito dell’eroe lasciava il posto a uomini sporchi, ambigui, veri. L’onore non era gratuito. La violenza non era giustificata. Era il mondo reale, proiettato nel mito.
La Mitologia che Danza sull’orlo dell’Abisso
Seguì Per qualche dollaro in più, con la sua costruzione musicale che trasformava il tema in detonatore narrativo. E poi “Il buono, il brutto e il cattivo”, forse il film più amato della storia del cinema. Nessuno che ami davvero la settima arte non ha fischiettato almeno una volta quel tema leggendario. In quello scontro finale, il triello, c’è tutto Leone: cinema puro, mitologia che danza sull’orlo dell’abisso.
Il suo Testamento: C’era una volta il West
Quando sembrava aver detto tutto, con C’era una volta il West (1968) firmò il suo testamento del western. Un film maestoso, dove ogni gesto pesa quanto un destino. Qui il tempo rallenta, come se il cinema stesso si inginocchiasse davanti alla fine di un’epoca.
“La vendetta non è la soluzione. Ma è la più dolce delle consolazioni.”
Un’epigrafe che potrebbe valere per tutta la sua poetica.
Il Film più Politico
E con Giù la testa (1971), troppo spesso dimenticato, Sergio Leone si sposta sul terreno della rivoluzione e del tradimento. È il film più politico, più intimo. Racconta l’amicizia tra un bandito messicano e un rivoluzionario irlandese, ma in realtà parla di un’intera generazione che ha creduto nel cambiamento, e si è trovata tradita da se stessa.
È un film che guarda la rivoluzione con malinconia, come si guarda un amore giovanile che non ha retto l’urto del potere. Leone, figlio di una cultura profondamente di sinistra, vi riflette il dolore di chi ha visto il sogno rosso trasformarsi in un’ombra di potere. “Giù la testa, coglione!” è una battuta, certo. Ma anche un grido amaro verso chi ha dimenticato che la rivoluzione, prima ancora delle armi, riguarda l’anima.
L’ultimo Film e sono Trentasei anni senza Sergio Leone
Poi è arrivato l’addio. C’era una volta in America (1984).
Un’opera-mondo, una cattedrale del tempo, dove tutto parla di perdita: l’amicizia, l’infanzia, l’amore, il tempo stesso. Noodles, il protagonista, attraversa la vita come un reduce che non ha più guerra da combattere. E in quel sorriso finale, mentre l’oppio lo avvolge, c’è una carezza amara, la dolcezza di chi ha perso tutto ma conserva il diritto al ricordo.
“Il passato non può mai essere dimenticato. È sempre lì.”
“I sogni sono fatti per essere distrutti.”
“Le ferite non guariscono mai, solo si nascondono.”
Frasi che non hanno bisogno di spiegazioni. Bastano. E restano.
Mai un Oscar
Eppure, Hollywood non gli ha mai dato un Oscar. Nonostante avesse reinventato il linguaggio cinematografico, nonostante l’adorazione mondiale. La ragione è semplice: Leone era troppo avanti, troppo personale, troppo libero per le regole dell’industria americana. Il suo unico “riconoscimento” fu un’offerta per dirigere Il Padrino – Parte III. Rifiutò. Scelse di inseguire un progetto sulla battaglia di Leningrado, che non riuscì mai a realizzare. Morì con quel sogno nel cuore.
Morì senza Oscar, ma con la gloria eterna di chi ha cambiato il mondo senza mai cedere al compromesso.
Trentasei anni senza Sergio Leone
Oggi, a distanza di 36 anni, il suo cinema è più vivo che mai. Vive nelle dissolvenze che sembrano scolpite nella memoria, nelle musiche di Morricone che strappano ancora la pelle, negli sguardi di Eastwood, Bronson, De Niro. Vive in chi sa che il cinema, quello vero, è una ferita che non si rimargina mai.
E allora, se vieni da un piccolo paese di mare,
dove le emozioni non ti corrono incontro ma le devi sognare,
capisci che il cinema può essere casa, rifugio, speranza.
E il cinema di Leone…
ti prende per mano da bambino e non ti lascia più.
Ti insegna che si può essere soli, ma mai vuoti.
Che si può perdere tutto, ma non la memoria.
Che un’inquadratura può essere più vera di una vita.
E che a volte, nella polvere e nel silenzio,
puoi innamorarti per sempre.
Del cinema.
E di chi l’ha reso eterno.
Sergio Leone, grazie.