“Dove non c’è visione, il popolo perisce.” – Proverbi 29:18
Dibattito sul ruolo dell’intellettuale nella società
All’inizio degli anni Settanta, Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa segnava un punto di svolta in un dibattito antico quanto la modernità stessa: quello sul ruolo dell’intellettuale nella società. In quel tempo, attraversato da tensioni ideologiche, lotte sociali e slanci utopici, la figura dell’intellettuale era ancora carica di una responsabilità storica. Non si trattava solo di creare o interpretare opere, ma di assumere una funzione pubblica, civile, a volte persino pedagogica. Da Sartre a Pasolini, da Adorno a Gramsci, l’intellettuale era percepito come mediatore tra sapere e massa, tra cultura e politica, tra passato e futuro.
Una Figura Svuotata
Oggi quella figura appare svuotata, marginalizzata, spesso persino derisa. L’era digitale, nella sua rapidità e apparente democraticità, ha prodotto un paradosso: mai come ora l’accesso alla parola è stato così diffuso, eppure mai come ora la parola significativa, pensata, dotata di spessore, è apparsa così fragile. Il pensiero critico, la riflessione complessa, la capacità di leggere i fenomeni con profondità temporale, sono diventati ostacoli in un ecosistema comunicativo che premia velocità, semplificazione, performatività.
La Disintermediazione
La disintermediazione – parola chiave di questa trasformazione – non è solo un fatto tecnologico. È, prima ancora, un fatto culturale e politico. Significa il venir meno di quelle strutture, figure, istituzioni che tradizionalmente si ponevano come filtro, come garanzia, come orientamento. Il giornalismo, la scuola, la critica, l’università, persino i partiti politici: tutte queste forme sono state investite da una progressiva delegittimazione, che ha lasciato spazio a un’informalità continua, a un dialogo immediato e orizzontale tra soggetti sempre più soli.
La posizione simbolica dell’intellettuale
In questo quadro, l’intellettuale ha perso la sua posizione simbolica. Non perché siano venuti meno i pensatori, gli artisti, gli studiosi di valore – tutt’altro. Ma perché si è dissolto il terreno collettivo che conferiva loro autorità. La legittimazione non è più condivisa, ma frammentata. Ognuno ha il suo pubblico, la sua bolla, la sua narrazione. Il risultato è una società che comunica incessantemente, ma non dialoga mai veramente. Dove tutto è espressione, e quasi nulla è ascolto.
Un Problema culturale, politico, antropologico, esistenziale
Questa perdita di figure guida non è solo un problema culturale: è un problema politico, antropologico, esistenziale. Quando mancano voci capaci di dare nome alle cose, di orientare lo sguardo, di articolare il senso, la comunità si sfalda. Con la mancanza di simboli condivisi, l’immaginazione si atrofizza. Senza visione, prevale la gestione. Senza pensiero, trionfa il calcolo.
La fiducia nell’ IA
Non è un caso che in questa epoca ci si affidi con crescente fiducia a dispositivi, piattaforme, intelligenze artificiali. L’automazione del giudizio sostituisce la fatica della valutazione. L’algoritmo promette ciò che l’intellettuale non garantisce più: una risposta immediata, neutra, funzionale. Eppure, ogni algoritmo riflette un sistema di valori, una visione del mondo, una gerarchia di interessi. L’illusione dell’oggettività tecnica cela una profonda crisi della soggettività critica.
Urge Riflessione Radicale
In questo scenario, si rende urgente una riflessione radicale. Serve ripensare il ruolo della cultura e di chi la produce. Si tratta di non rimpiangere nostalgicamente i tempi in cui gli scrittori “educavano il popolo”, ma di immaginare nuove forme di autorevolezza. Un’autorevolezza fondata non sul carisma individuale, ma sulla capacità di costruire senso condiviso. Non sulla distanza, ma sulla profondità. Tantomeno sull’eccezionalità, ma sull’utilità sociale del pensiero.
Il Ruolo dell’intellettuale nella società: Un Interprete Attento
L’intellettuale del nostro tempo non può più essere né il sacerdote né il tribuno. Ma può (e deve) essere un interprete attento, un facilitatore del dialogo, un costruttore di ponti tra mondi separati. Un essere poroso, capace di attraversare i confini tra saperi, tra discipline, tra culture. L’instancabile artigiano di linguaggi comuni.
La Sordità della Società
Il rischio più grande non è il silenzio degli intellettuali, ma la sordità della società. E tuttavia, proprio in un’epoca che pare condannare ogni forma di mediazione, l’intellettuale può ritrovare una funzione: quella di resistere alla semplificazione, di custodire la complessità, di riaprire lo spazio della domanda là dove tutto sembra già risposto.
Il Ruolo dell’intellettuale nella società
Pensare, oggi, è un atto di resistenza. Comunicare con profondità è un gesto politico. Prendere la parola con responsabilità è un compito necessario. E l’intellettuale – se vorrà ancora esistere – dovrà tornare a essere non tanto colui che sa, ma colui che si espone. Non colui che insegna, ma colui che interroga, di certo non colui che guida, ma colui che cammina accanto.