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I Proverbi Abruzzesi: Testimonianze di una Cultura Millenaria

Il Territorio è descritto dai suoi Proverbi

Il territorio è descritto dai suoi proverbi e l’Abruzzo ha una lunga storia in questo campo. Molti sono i riferimenti alla vita contadina e ai pascoli in transumanza, i pescatori e  la costa abruzzese, il rapporto tra animali e persone, gli usi paesani e le leggende che li descrivono. I proverbi abruzzesi restano fissi anche oggi e sono espressioni comuni ancora adottate. Si tramandano come piccoli tesori e ci confermano l’identità della regione.

La Saggezza dei Campi: Proverbi sulla Vita Rurale

L’Abruzzo è una regione con una forte tradizione agricola, e questo si riflette profondamente nei suoi proverbi. La saggezza contadina abruzzese, maturata attraverso secoli di lavoro nei campi, trova espressione in detti che illustrano la vita quotidiana e il rapporto con la terra. Frasi come “Chi lavora la terra non ha fame” ricordano l’importanza del lavoro agricolo per la sopravvivenza e la prosperità.

Transumanza e Pascoli: Una Vita di Movimento

La transumanza, ovvero la migrazione stagionale delle greggi, è una pratica secolare in Abruzzo. Di conseguenza, questo fenomeno ha dato origine a numerosi proverbi che esprimono la saggezza legata a questa pratica. Ad esempio, “Chi pecora si fa, il lupo se la mangia” è un chiaro avvertimento a non mostrarsi deboli o sottomessi, un concetto nato dall’osservazione della natura e delle dinamiche della pastorizia.

Il Rapporto tra Animali e Persone

In una regione dove l’allevamento è sempre stato centrale, i proverbi riflettono il rapporto stretto tra animali e persone. Ad esempio, detti come “Il cane non morde il padrone” evidenziano la fiducia e la lealtà reciproca che si instaurano tra uomo e animale. Inoltre, questi proverbi non solo offrono consigli pratici, ma anche lezioni morali sul comportamento umano.

Usi Paesani e Leggende: La Vita di Comunità

La vita nei piccoli paesi abruzzesi è ricca di tradizioni e leggende che si rispecchiano nei proverbi locali. Ad esempio, “Paese che vai, usanza che trovi” è un proverbio che esemplifica la diversità delle tradizioni locali all’interno della stessa regione. In effetti, questi detti servono a preservare e tramandare usanze che rischiano di andare perdute nel tempo.

I Pescatori e il Rapporto con la Costa Abruzzese

Oltre alla vita agricola e pastorale, anche la vita dei pescatori è profondamente radicata nella cultura abruzzese. Infatti, la costa abruzzese, con le sue spiagge e i suoi trabocchi, ha sempre rappresentato una fonte di sostentamento e un elemento essenziale del paesaggio locale. Di conseguenza, i proverbi legati al mare e alla pesca riflettono la saggezza accumulata dai pescatori nel corso dei secoli. Ad esempio, detti come “Chi va per mare, deve avere il cuore grande” esprimono il coraggio e la resilienza necessari per affrontare l’incertezza e i pericoli del mare.

I Proverbi come Tesori da Tramandare

Il territorio è descritto dai suoi proverbi e l’Abruzzo con la sua ricca tradizione offre una finestra unica sulla saggezza popolare e sulla cultura regionale. Inoltre, questi detti non solo riflettono la vita e le esperienze delle persone, ma contribuiscono anche a mantenere viva l’identità abruzzese. Continuare a tramandare questi proverbi è fondamentale per preservare il patrimonio culturale della regione.

Ecco alcuni proverbi ancora in uso

A

  • A lavà la cocce all’asin ‘c sà ‘rmette tempe e sapone (A lavare la testa all’asino ci si rimettono tempo e sapone).
  • A lu mare va l’acque’ e li piscule s’arsuche (L’acqua va al mare e le pozzanghere si asciugano).
  • A la Canelòre le ‘mmèrn’ è ffòre (Alla Candelora l’ inverno  è fuori).
  • A la prim’ àcque d’Ahòste, lu ricch’ e lu pòvere s’arechenòsce (Alla prima acqua d’agosto, il ricco ed il povero si riconosconoIl ricco ha di che cambiarsi d’abito, mentre il povero continua a vestire allo stesso modo)
  • A ògne ttèrre c’è na usanze; a ògne mmijjicule c’è na pànze (Per ogni paese c’è un’usanza; per ogni ombelico una pancia . / Paese che vai, usanza che trovi).
  • Abb coj, viastim nn coj. (Se ti meravigli di qualcosa, ti accadrà, se la disprezzerai, non ti accadrà).
  • Addò c’è gguste, nen g’è pperdènze (Dove c’è gusto non c’è perdenza).
  • Aépre l’uòcchje e spanne ca ni je callere di réme ca zi càgne (Apri gli occhi e guarda bene perché non si può cambiare con un paiolo di rame, (riferito al prendere moglie)).
  • All’ ùteme s’arecònde le pècure (All’ultimo si ricontano le pecore).
  • Arcal da ssa piant di cic! (E’ inutile vaneggiarsi).
  • Attàcche l’asene addò vò lu padròne (Lega l’asino dove vuole il padrone).
  • Avoje a ciufulià se ll’asine nin vvò’ ‘bbeve! (Hai voglia di fischiare se l’asino non vuole bere / È inutile tentare di convicere gli stolti).

B

  • Bott e panell fa li cittu bell (Pane e mazzate fanno i figli belli).
  • Bbesògna fatijà pe’ no’ mmorì màje; e bbesògna penza ca se mòre cràje (Bisogna lavorare come se non si dovesse morire mai; e bisogna pensare come se si dovesse morire domani)

C

  • Capille rusce, ‘nnénde te mùore che nne’ le chenusce (Capelli rossi, fai prima a morire che a conoscerli).
  • Cent niènd a ccis n’àsin (Cento “niente” hanno ucciso un asino).
  • Chi ‘mbrèste né jjene rèste (A chi impresta non gliene resta).
  • Chi ha lu cattive vecine, ha lu cattive matine (Chi ha il vicino cattivo, ha il   mattino   cattivo).
  • Chi nàsce bbèlle, n’n è ‘n dutte puverèlle (Chi bello nasce, non è del tutto povero).
  • Chi pècure se fa, lo lòpe se la màgne. (Chi si fa pecora, il   lupo   lo mangia).
  • Chi mandrìcch i attàcche, mandrìcch desiòjje (Chi non dona non riceve).
  • Chi se vùsceche, n’n z annéhe (Chi si muove (si da da fare) non annega).
  • Chi sumènd’ e nnen gustòde, trìbbul’ e nnen gòde (Chi semina e non sa mantenere, lavora ma non gode).
  • Chi tròppe la tire, la stucche (Chi la tira troppo [la corda], la spezza).
  • Chi tè la còde de pàjje se l’abbrùsce (Chi ha la coda di paglia se la brucia).
  • Chi te lu pan e chi te li dient (Chi ha il pane e chi ha i denti).
  • Cunzìjje de hulpe, destruzzijòne de hallìne (Consiglio [consesso] di volpi, strage di galline).

D

  • Daje, daje e daje la cipolle divende aje (Dagli, dagli e dagli la cipolla diventa aglio)
  • Dopp commess l’error, ogni ciucc divent dottore (Dopo commesso l’errore ogni asino diventa dottore (del senno di poi son piene le fosse)).

E

  • E’ ‘cchiù la spêse che la ‘mbrêse (È più la spesa che il ricavato).
  • È pprime lu dènde che lu parènde (É prima il   dente   che il parente).
  • E’ trèste chije nen té ninde, ma è ‘cchijù trèste chije nen té nisciéne (È triste chi non ha niente, ma è più triste chi non ha nessuno).

F

  • Fa bbèn, e scùordetene, fa mal’ e ppjìenzece (Fai del bene e scordatelo, fai del male e pensaci).
  • Fa cchiù mmeràcule ‘na vòtte di vine (oppure “‘na stàlle de letàme”), che ‘na cchjìese de sànde (Fa più miracoli una botte di vino (o una stalla di  letame), che una chiesa di santi).
  • Fà prime lu ciele a rannuvelirse, ca na fèmmene a vestirse (Fa prima il cielo ad annuvolarsi, che una donna a vestirsi).

G

  • Gatt furios fa li fij cicat (La gatta frettolosa fa i figli cechi).
  • Giall e rosc, lu cafon s’arcunosc (Giallo e rosso, il cafone si riconosce).

L

  • L’ acque càve le fuoss’, e lu vine fa candà (L’acqua scava la fossa, il vino fa cantare).
  • La càrne fa càrne, lu pane fa sanghe, e lu vine mandè (La carne fa carne, il pane fa sangue e il vino fa la forza).

S

  • Sta ‘bbòne Rocche, sta ‘bbòne tutte la Ròcche (Sta bene Rocco, sta bene tutta la Rocca)

 

Foto copertina: Kristian_Zahrtmann, Giovani donne che trasportano calce. Civita d’Antino