Siria, l’alba dopo il tiranno: fede, sangue e la lunga lotta per la libertà

Quando i potenti si Combattono

“Quando i potenti si combattono, sono i deboli a morire.” — Jean-Paul Sartre

Damasco, dicembre 2024. Le bandiere del vecchio regime vengono strappate dai palazzi del potere. La gente, stremata ma incredula, si riversa nelle strade. Bashar al-Assad, simbolo di oppressione per milioni di siriani, è fuggito. Un evento che per anni sembrava impossibile — la caduta del regime — si è infine compiuto.

Dopo tredici anni di Guerra

La fine del potere assoluto di Assad è giunta dopo tredici anni di guerra, milioni di vite spezzate, città rase al suolo, e un popolo annientato nella carne e nello spirito. Un conflitto che ha trasformato un paese di poeti, commercianti e contadini in una terra di fantasmi.

L’Inizio

Nel marzo 2011, la scintilla partì da Daraa, una piccola città nel sud della Siria. Alcuni adolescenti, ispirati dalla Primavera araba, scrissero sui muri slogan contro Assad. Venne loro spezzata la vita nei sotterranei dei servizi segreti. In quel gesto brutale si compì la frattura: la protesta popolare si estese, e con essa la repressione.

Il regime rispose con proiettili, torture, assedi. In breve, le manifestazioni si trasformarono in insurrezione armata. Il paese sprofondò in una guerra civile che col tempo mutò in guerra settaria, poi regionale, poi mondiale.

L’Antico Conflitto Religioso

Dietro lo scontro politico e militare, si agitava un conflitto religioso e identitario antico: la divisione tra Sunniti e Sciiti. Una frattura risalente al VII secolo, al momento della morte del profeta Maometto. I Sunniti, che costituiscono circa l’85% dei musulmani nel mondo e la maggioranza anche in Siria, credono che il successore del Profeta debba essere eletto dalla comunità, in base al merito e alla competenza. Gli Sciiti, invece, ritengono che il potere spirituale e politico debba restare all’interno della famiglia del Profeta, in particolare ai discendenti di suo cugino e genero ‘Ali.

In Siria, questa divisione si è incarnata in forma politica e sociale. Bashar al-Assad, come suo padre Hafez, apparteneva alla setta alawita, una corrente derivata dallo sciismo, e ha mantenuto il potere grazie a una rete minoritaria ma ferrea, sostenuta da una parte della popolazione sciita e cristiana, e da una élite che temeva il caos sunnita. Dall’altro lato, la maggioranza sunnita, esclusa per decenni dal potere e repressa brutalmente, ha visto nella rivolta l’occasione di riscatto.

Questo conflitto religioso è stato abilmente strumentalizzato da tutti gli attori coinvolti: Assad si è presentato come difensore delle minoranze contro l’estremismo sunnita, mentre molti ribelli hanno cercato legittimità proprio nel richiamo all’Islam sunnita, in tutte le sue sfumature — dal nazionalismo arabo fino al jihadismo salafita.

Quando i potenti si Combattono: il conflitto siriano

In Siria non si è combattuta solo una guerra civile: si è combattuta una guerra mondiale in miniatura. Ogni grande potenza, ogni attore regionale ha visto nel conflitto siriano l’occasione di estendere la propria influenza o di contenere quella dei rivali. Le rovine siriane sono state il prezzo di questo cinico calcolo geopolitico.

La Russia ha visto nella Siria il baluardo per restare protagonista nel Medio Oriente. Difendendo Assad, ha mantenuto la sua base navale a Tartus, l’unico porto militare nel Mediterraneo. Ha potuto dimostrare forza dopo la crisi ucraina, difendere un alleato storico, consolidare la sua immagine di potenza “risolutrice” dove l’Occidente fallisce.

L’Iran ha trasformato la Siria in un caposaldo della sua politica estera. Per Teheran, Assad era il garante di un corridoio sciita che attraversa Iraq e Libano fino a Israele. Sostenere Damasco ha significato mantenere un’alleanza ideologica e militare, opporsi all’influenza sunnita e saudita, proteggere santuari religiosi sciiti in Siria.

La Turchia di Erdoğan ha sempre guardato alla Siria come parte del suo “estero vicino”. Il suo obiettivo primario era evitare la creazione di un’entità curda lungo il proprio confine, ma anche affermarsi come potenza sunnita alternativa a sauditi e qatarioti, influenzare politicamente l’opposizione siriana tramite gruppi armati, reinsediare parte dei milioni di profughi siriani ospitati.

Quando i potenti si Combattono. Gli Stati Uniti sono intervenuti per distruggere l’ISIS, ma anche per limitare l’espansione dell’Iran e dei suoi proxy, sostenere le forze curde (SDF) nel nord-est della Siria, evitare che Russia e Iran potessero dominare la ricostruzione postbellica. La presenza americana, però, è rimasta controversa e spesso incoerente, oscillando tra disimpegno e nuove basi.

Quando i potenti si Combattono dietro la facciata religiosa

Dietro la facciata religiosa, Arabia Saudita e Qatar hanno giocato una partita di potere: sostenendo fazioni islamiste e ribelli sunniti, cercando di spezzare la “mezzaluna sciita” di influenza iraniana, guadagnando influenza presso le future élite siriane post-Assad.

Più Nulla da Perdere

Nel 2022-2024, il regime ha cominciato a scricchiolare. Quando i potenti si Combattono. Le sanzioni economiche, la crisi energetica, la corruzione endemica e l’isolamento internazionale hanno logorato le basi del potere. La popolazione, affamata, non aveva più nulla da perdere. Il colpo finale è arrivato nel dicembre 2024. Damasco è caduta. Le milizie ribelli, coordinate sotto una fragile alleanza, hanno assaltato i centri nevralgici del potere. Bashar al-Assad è fuggito con la famiglia in Russia, dove ha trovato asilo.

Lo Stato è da Rifondare

Il governo di transizione, guidato da Ahmed al-Sharaa, ha promesso un futuro di riconciliazione e ricostruzione. Ma le sfide sono immense. Lo Stato è da rifondare. La società è divisa, traumatizzata. I rifugiati sono ancora milioni. L’economia è distrutta. Eppure, nei quartieri devastati di Aleppo, nei campi profughi, nei corridoi delle ONG, qualcosa si muove. I siriani cominciano a parlare di futuro.

Coscienza Civile

Ricostruire non è solo una questione di cemento. È una questione di verità. Le torture, i massacri, i bombardamenti chimici, i desaparecidos… non possono essere dimenticati. Il mondo guarda a una Siria che non dimentichi il proprio martirio, ma lo trasformi in coscienza civile.

La Siria è oggi come un campo arato dopo un incendio: bruciata, ma viva. Nulla sarà semplice. Ma oggi, per la prima volta dopo anni, si intravede l’alba.

di Carlo Di Stanislao

La Redazione de La Dolce Vita
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